Le dimissioni “irrevocabili” di Maurizio Dècina aprono il problema delicato della sostituzione. Di cui Agcom sconta gli effetti essendo costretta a lavorare a ranghi ridotti (e senza il commissario con le maggiori competenze nelle tlc). La soluzione, però, non sta a via Isonzo, bensì nelle mani della politica. Si tratta di un “peccato originale” visto che le nomine dei commissari sono di competenza delle assemblee di Camera e Senato.
Potrà anche non piacere (basti ricordare i “candidati della rete” emersi nel 2012 in occasione della nomina di questa Agcom); ma se non è la politica, chi deve scegliere i commissari? Un’autorità amministrativa?
È così ovunque: il presidente della Fcc è nominato dal presidente Usa; quasi dappertutto in Europa le authority sono di scelta governativa. Solo da noi (e in Grecia) le nomine spettano al Parlamento (tranne il presidente indicato dal presidente del Consiglio).
Questa particolare procedura è figlia dalla volontà del legislatore italiano di associare alla vigilanza sulle telecomunicazioni anche quella sulla Tv. Con tutto quel che ne consegue, in Italia. Anche in termini di operatività e di confronto all’interno della stessa Agcom, come si è avuto modo di vedere in passato.
Maurizio Dècina ha formalmente motivato le sue dimissioni con ragioni “personali e familiari” ribadendo il suo sostegno alle principali decisioni prese dall’Agcom presieduta da Cardani anche su temi delicati come frequenze televisive, diritto d’autore, prezzi di rame e fibra.
Non si possono negare tensioni all’interno dell’Autorità negli ultimi mesi (come del resto in passato); tensioni comunque naturali e riconducibili alla normale dialettica fra posizioni e sensibilità diverse.
Ma non ha assolutamente senso, in occasione della sostituzione di Dècina, ripoliticizzare il dibattito, per di più in un clima così avvelenato come quello italiano.
Ci rendiamo benissimo conto che abbiamo un nuovo Parlamento (se dura) rispetto a quello che ha nominato l’Authority di Cardani. Ma sarebbe irresponsabile che la sostituzione di Dècina finisse nel tritacarne degli scontri fra partiti e della eventuale formazione di nuovi equilibri politici.
Dècina era un candidato indicato dal PD, Martusciello e Preto sono stati espressi dal Pdl, Posteraro venne preferito dall’Udc, così come Cardani fu scelto da Monti. Ma non sono i rappresentanti dei partiti che li hanno votati.
Lo abbiamo scritto un anno fa (http://www.corrierecomunicazioni.it/it-world/15701_nomine-agcom-il-nostro-endorsement-tecnici-non-politici.htm) e non abbiamo cambiato opinione: “Il consiglio Agcom e il suo presidente costituiscono una autorità di garanzia chiamata a regolare i mercati delle telecomunicazioni, della televisione ed ora anche postale, non un parlamentino in miniatura”. È un’Autorità che dura in carica sette anni, indipendentemente dalla variabilità delle maggioranze politiche.
Quale è il problema? Riportare Agcom alla pienezza dei componenti il più rapidamente possibile, non farne lo specchio di nuovi equilibri politici. Il modo che a noi pare più sensato è che l’assemblea della Camera – che aveva votato Dècina – scelga il sostituto il più velocemente possibile (pur se vi sono procedure tecniche e tempeste politiche all’orizzonte che giocano contro la rapidità. Senza prestare il fianco a giochetti di governo e sottogoverno, maggioranza e sotto-maggioranza che minerebbero ulteriormente la credibilità della politica ma anche quella di Agcom.
Sempre nel giugno 2012 (http://www.corrierecomunicazioni.it/media/15581_agcom-competenza-o-poltrone-da-assegnare.htm) scrivevamo che, con procedure trasparenti, vanno privilegiate competenza, esperienza professionale, indipendenza, disponibilità a lavorare per il bene comune.
Siamo della stessa opinione: è il faro che deve illuminare la scelta del sostituto di Dècina le cui dimissioni, giova ricordarlo, privano Agcom di esperienze fortissime nel campo delle telecomunicazioni. Una ragione in più per non perdere tempo nella scelta di un successore che, a nostro parere, non può non avere competenze rilevanti nelle tlc.
Se il PD ritiene di godere di una specie di “prelazione” sul nome del nuovo commissario è comprensibile. L’importante è evitare il mercato delle vacche politico e che il preferito (o la rosa di preferiti) abbia le caratteristiche di cui dicevamo. Probabilmente non c’è nemmeno bisogno di tanti voli di fantasia: già a giugno 2012, in occasione delle votazioni dell’Agcom di Cardani, sono emersi nomi validi e che certamente rispondono ai criteri evidenziati.