Nel 2015 il 17% delle grandi imprese italiane ha avviato progetti organici di smart working. Il 14% è in fase “esplorativa”, per avviare progetti in futuro, e un altro 17% ha avviato iniziative legate a particolari profili, ruoli o esigenze. Quasi una grande impresa su due, in sintesi, sta andando in modo strutturato o informale verso il nuovo approccio all’organizzazione del lavoro. Tra le pmi invece la diffusione risulta ancora molto limitata: solo il 5% ha già avviato un progetto strutturato di smart working, il 9% ha introdotto informalmente logiche di flessibilità e autonomia, oltre una su due non conosce ancora questo approccio o non si dichiara interessata.È quanto emerge dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano.
Nonostante l’assenza di un quadro normativo (nemmeno in seno al Jobs Act) le imprese vanno dunque avanti sui progetti, mettendo in discussione i tradizionali vincoli legati a luogo e orario, lasciando alle persone maggiore autonomia nel definire le modalità di lavoro a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. “Molte organizzazioni nell’ultimo anno hanno iniziato ad interessarsi e adottare questo approccio, con un effetto positivo su persone, aziende e società, soprattutto grazie all’opportunità di ripensare stili manageriali e modalità di gestione ormai superati – dice Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working -. Le organizzazioni devono però evitare l’errore di farsi trascinare dall’effetto moda, introducendo un cambiamento solo superficiale, senza cogliere l’opportunità di ripensare profondamente cultura e modelli organizzativi per liberare nuove energie dalle persone. Fare davvero smart working, cioè, è un percorso lungo e profondo di continua evoluzione. Significa andare oltre l’introduzione di singoli strumenti e creare un’organizzazione orientata ai risultati, fondata su fiducia, responsabilizzazione, flessibilità e collaborazione”.
Per introdurre lo smart working in un’organizzazione “è necessario considerare innanzitutto le proprie specificità interne e cercare una coerenza con gli obiettivi e la strategia di business, per poi trovare equilibri che vanno incontro alle esigenze e alle aspirazioni delle persone, sfruttando al meglio le opportunità dei nuovi strumenti digitali”, evidenzia Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio Smart Working. “Servono la condivisione dei lavoratori rispetto a strategia, valori, obiettivi e performance, un nuovo approccio dei manager, da “controllori” a leader degli obiettivi, il supporto alle persone per decidere autonomamente le modalità con cui svolgere le proprie attività. Le organizzazioni che hanno intrapreso questo cammino sono sempre di più, ma non esiste un’unica ricetta per tutti: il percorso deve tenere considerare i reali obiettivi e i diversi punti di partenza”.
Parallelamente, emerge sempre dal report, si sta diffondendo anche l’uso del coworking, di cui si contano 349 spazi in Italia, 88 nella sola Milano: strutture che offrono luoghi flessibili on demand e un’esperienza di lavoro “smart”, rivolgendosi ormai non solo a liberi professionisti, startup e microimprese, ma anche alle aziende più grandi, con il 71% dei manager che li ritiene un’opportunità anche per organizzazioni strutturate.
IL REPORT IN DETTAGLIO