“Nella relazione trasmessa dal governo al Parlamento si mettono in evidenza, in vista della prossima legge di Bilancio, possibili misure per aumentare le imposte indirette che, come risulta dal consuntivo approvato pochi giorni fa, lo scorso anno sono diminuite di circa 8 miliardi. Qui entrano in gioco anche i nuovi business, legati all’impatto del digitale sulla nostra economia, tema che è stato al centro degli ultimi vertici europei”. Così Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, intervenendo nel corso dell’audizione in Senato sulla nota di aggiornamento al Def del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Boccia, rivolgendosi al ministro Padoan ha, poi, chiesto se “visto il clima positivo tra governo e Parlamento non fosse il caso di iniziare ad ipotizzare, in sede di manovra, un passaggio dalla web tax opzionale, oggi in vigore, ad una web tax obbligatoria, con il superamento della non stabile organizzazione, in attesa di una decisione in sede Ue. In questo modo si potrebbe recuperare gettito fiscale derivante dalle imposte indirette oggi eluse dalle multinazionali del web”.
Con la manovrina entrata in vigore a giugno scorso è stata introdotta una norma ponte che prevede per i giganti del web con oltre un miliardo di fatturato e un giro d’affari di almeno 50 milioni di euro, la possibilità di stringere accordi preventivi con l’Agenzia delle Entrate.
La decisione europea è attesa per il 2018 dato che il vertice di Tallin si è chiuso senza sorprese. Il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, ha detto – a chiusura del summit – ha detto che l’accordo si troverà allìEcofin del prossimo anno, dedicato precipuamente alla web tax, ricordando che Bruxelles presenterà “nuove regole per una tassazione equa e un uguale terreno di gioco per tutti” nel digitale.
Ma nel frattempi i grandi non stanno a guardare. Italia, Francia, Germania e Spagna stanno andando avanti sulla proposta di tassare le aziende del web: assicurare che per l’Iva lo stesso contenuto, prodotto o servizio sia soggetto all’imposta nello Stato membro Ue di consumo indipendentemente dalla natura fisica o digitale. Tassazione del reddito d’impresa in modo che i profitti tassabili, inclusi quelli derivanti da attività digitali, “siano attribuiti in modo appropriato là dove viene creato il valore”.
Per le imprese che spostano in paesi non Ue i profitti tassabili ottenuti nel mercato interno, “per rimpatriare nella Ue la quota di imposizione indebitamente trasferita offshore, la Ue potrebbe esplorare opzioni per un prelievo compensativo nel settore digitale (equalisation levy)”. I ministri avevano chiesto di definire una webtax “sul fatturato generato in Europa dalle società digitali”.
A questo proposito il premier, Paolo Gentiloni, ha fatto sapere che gli stati membri devono andare avanti, anche da soli. “I singoli paesi – ha sottolineato Gentiloni – non solo possono, ma devono lavorare in coordinamento tra loro anche con le cooperazioni rafforzate, e in tempi rapidi”. “Noi non possiamo accettare – aveva detto – l’idea che il diritto di stabilimento delle imprese per quanto riguarda i giganti del web e le piattaforme sia concepito come nel passato, quando lo stabilimento significava pagare le tasse nel posto deve si aveva la fabbrica. Ci sono piattaforme che ci semplificano la vita e a cui non vogliamo rinunciare per niente al mondo, che tuttavia hanno volumi di affari strepitosi nei nostri Paesi e magari pochi dipendenti e nessuna ciminiera”. Sulla web tax, aveva aggiunto Gentiloni, “c’è una proposta della Commissione, dobbiamo andare avanti. Ma i singoli Paesi devono lavorare in coordinamento tra di loro anche con la cooperazione rafforzata. Siccome l’Ue ha a che fare con giganti che in gran parte non sono europei, deve porsi molto seriamente il problema di un’armonizzazione di una tassazione equa per questi giganti digitali”.
A sostenere la causa dei contrari alla web tax l’Irlanda, con il premier Leo Varadkar che sottolinea come “se l’Europa vuole essere leader dell’economia digitale, la soluzione non è più tasse e più regole, ma è il contrario”. “Se vogliamo che società come Google, Facebook o Linkedin producano profitti in Europa non è attraverso le tasse e le regole rigide che lo otterremo. Ci sono alcuni paesi che sostengono la proposta di Francia, Italia, Spagna e Germania, ma ce ne sono altri che hanno un’idea diversa, come i paesi scandinavi e quelli baltici che sono molto aperti al mercato, già molto moderni e digitali”.
E l’idea di tassare Google & co non piace nemmeno agli Usa che non vogliono azioni unilaterali sulla web tax. L’avvertimento arriva dalla Camera di Commercio americana con sede a Bruxelles (AMCham EU). “Un’azione unilaterale metterebbe a rischio gli sforzi internazionali per risolvere le questioni fiscali – ha spiegato la presidente Susan Danger – La tassa sul fatturato per le aziende che operano sul web, come proposta dai quattro grandi Paesi dell’Unione, ridurrebbe gli investimenti, peserebbe sull’occupazione e penalizzerebbe le giovani aziende”.