Il lavoro del rider? È subordinato, con il riconoscimento delle tutele che un lavoro dipendente comporta. Non solo: il fattorino deve essere assunto con il contratto collettivo nazionale del Terziario. Lo stabilisce una sentenza del tribunale di Milano che ha accolto il ricorso di un ciclofattorino che aveva stipulato con Deliveroo Italia un contratto formalmente denominato “di lavoro autonomo”.
“Dalle risultanze probatorie è possibile inferire che l’attore, quale rider di Deliveroo Italia, lavori all’interno e per le finalità di un’organizzazione della società titolare della piattaforma, sulla quale non può esercitare alcuna influenza, senza avervi interesse e senza assumere alcun rischio d’impresa”, si legge nella sentenza.
Inoltre è stato accertato che la prestazione risultava “completamente organizzata dall’esterno con un’incidenza diretta sulle modalità di esecuzione, sui tempi e sui luoghi”, quindi non dipendente esclusivamente dal rider, e che “l’accesso alle fasce orarie di prenotazione non era libero, ma era condizionato dal punteggio posseduto dal rider, secondo gli indici di prenotazione”.
I giudici milanesi evidenziano anche che “il rider veniva penalizzato con decurtazione del punteggio per il ritardo”. Tutti elementi che vanno a strutturare un rapporto da lavoro dipendente.
“Ora – dice Mario Grasso della UilTucs nazionale – abbiamo uno strumento in più, una sentenza che riconosce quello che da tempo affermiamo: questo è un lavoro subordinato, i rider hanno diritti e devono avere le tutele che spettano loro. Ci auguriamo che la linea coerente del riconoscimento dell’applicazione del Ccnl Terziario sia seguita anche da altre piattaforme e realtà. Noi ci batteremo sempre affinché i diritti, come in questo caso, vengano affermati”.
“Siamo pronti – commenta il segretario generale della UilTucs, Brunetto Boco – a fare il passo successivo: lavorare per dotare la categoria di un proprio contratto affinché i lavoratori abbiano gli strumenti normativi e legislativi adeguati per tutelarsi nel modo più appropriato e lavorare in sicurezza”.
Passi avanti, quelli indicati di Boco, che riconosce e condivide anche Michele Tamburrelli, segretario generale UilTucs Lombardia, riconoscendo il valore aggiunto della “sentenza del Tribunale di Milano nei diritti dei lavoratori impegnati nelle consegne a domicilio”. L’uso, spiega, “di un algoritmo nella prestazione lavorativa non può essere un alibi per eludere gli elementi di subordinazione impliciti in questo rapporto di lavoro”. “L’applicazione – conclude Tamburrelli – del contratto collettivo del terziario, al rapporto di lavoro, fa ben sperare sulla possibilità di tutelare e rappresentare ulteriormente i lavoratori di questo settore”.
Le mosse della Ue
La Commissione europea ha proposto una direttiva per migliorare le condizioni del lavoro mediante piattaforme digitali. La proposta enumera criteri per determinare se la piattaforma è un datore di lavoro. Se la piattaforma soddisfa i criteri necessari, si presume che, dal punto di vista giuridico, sia un datore di lavoro. Si stima che un numero di persone compreso tra 1,7 e 4,1 milioni potrebbe essere riclassificato come lavoratore subordinato. Altre persone potrebbero diventare dei veri e propri lavoratori autonomi, in quanto alcune piattaforme potrebbero adeguare i modelli di business.
Per i lavoratori delle piattaforme digitali, la riclassificazione come lavoratore subordinato implicherà l’accesso a:
- periodi di riposo e ferie retribuite;
- almeno la retribuzione minima nazionale o settoriale (se del caso);
- tutela della sicurezza e della salute;
- prestazioni di disoccupazione, malattia e assistenza sanitaria;
- congedo parentale;
- diritti pensionistici;
- prestazioni relative agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali.
La proposta di direttiva della Commissione mira inoltre a incrementare la trasparenza per quanto riguarda l’uso di algoritmi da parte delle piattaforme, assicurando il monitoraggio umano e il diritto di impugnare le decisioni automatizzate.
Le autorità nazionali spesso hanno difficoltà nell’accesso ai dati relativi alle piattaforme e alle persone che vi lavorano. La proposta della Commissione intende rendere più trasparente l’attività delle piattaforme, chiarendo gli obblighi esistenti di dichiarare l’attività lavorativa alle autorità nazionali. La nuova normativa imporrà alle piattaforme di mettere a disposizione delle autorità nazionali alcune informazioni in merito alle attività svolte e alle persone che vi lavorano.
E anche il govreno italiano è impegnato sul fronte della tutela dei diritti. “Si tratta di una priorità che il nostro Governo è impegnato a promuovere a livello nazionale e in sede europea e sulla quale continueremo a impegnarci sostenendone una visione ambiziosa che garantisca tutele a tutti per il presente e il futuro”, dice il ministro del Lavoro, Andrea Orlando.
“La proposta accoglie – spiega il ministro – e dà supporto a due nostre richieste. Chiarire lo status dei lavoratori delle piattaforme, orientandosi a favore del riconoscimento di un rapporto dipendente, e dare centralità al tema dell’utilizzo di algoritmi e sistemi di intelligenza artificiale. Questi ultimi svolgono un ruolo cruciale nel definire, valutare e monitorare l’esecuzione delle prestazioni dei lavoratori su piattaforme e dobbiamo essere preparati ad adeguare l’apparato normativo e di tutele nella stessa direzione.
“Bisogna promuovere diritti digitali collettivi adottando misure di garanzia e trasparenza per l’utilizzo di dati e di algoritmi per riequilibrare le asimmetrie del mercato del lavoro digitale. Per questo, sul fronte della regolazione algoritmica e il corretto utilizzo dei dati dei lavoratori, in Italia ci stiamo impegnando – sottolinea Orlando – a definire una proposta di legge per la trasparenza e la prevedibilità delle condizioni di lavoro. Ma soprattutto, stiamo avviando un percorso per capire come si può creare valore per tutta la società da questi dati. Il lavoro su piattaforme digitali è un’opportunità e può essere sostenibile solo se offre posti di lavoro di qualità e se rispetta i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici”.
Il commento di Deliveroo
“La decisione del Tribunale del Lavoro di Milano è relativa a un solo rider, rappresenta un caso unico per Deliveroo in Italia ed è in contrasto con praticamente tutte le altre sentenze dei tribunali italiani – dichiara Matteo Sarzana, general manager di Deliveroo Italia – Si basa su un vecchio modello che la società non ha più da diversi anni e questa decisione non ha alcun impatto sul modello operativo attuale. Non siamo d’accordo con la decisione del giudice e faremo appello”.
“Deliveroo lavora con rider autonomi in Italia in base al contratto collettivo nazionale del lavoro firmato da AssoDelivery e il lavoro autonomo assicura la flessibilità che decine di migliaia di rider ci dicono di volere”, conclude Sarzana.