Servono comunicatori digital per la digital diplomacy. Ne è convinto Antonio Deruda, consulente di comunicazione strategica e per sei anni addetto alle relazioni con i media dell’Ambasciata statunitense a Roma, che sull’argomento ha scritto un libro “Diplomazia digitale – La politica estera e i social media” (Apogeo). “I diplomatici stanno scommettendo sempre più sul web – spiega – perciò stanno emergendo figure professionali innovative”.
In quale modo le nuove tecnologie hanno trasformato la diplomazia?
Si sono incontrati due mondi molto distanti tra loro: da una parte un universo abituato a secoli di formalismi, “no comment” e lavoro dietro le quinte, dall’altra il web improntato a trasparenza, informalità e rapidità. Potevano scontrarsi, invece la diplomazia ha intravisto le potenzialità offerte dalla rete per creare un nuovo rapporto con l’opinione pubblica internazionale e promuovere politiche e interessi strategici di un Paese. Paradossalmente ad oggi, in Italia, il ministero degli Esteri è quello più aperto alla rete. L’ex ministro Giulio Terzi, durante il governo Monti, era l’unico responsabile di un dicastero ad avere account sia su Facebook sia su Twitter. Poi l’hanno aperto anche altri, ma in campagna elettorale. Al momento della sua uscita dall’esecutivo poteva vantare circa 41mila followers e intorno ai 5mila likes. E usava molto anche Youtube, inviando video quando non poteva prendere parte ad alcuni appuntamenti istituzionali.
Le dimensioni della comunicazione social della nostra politica estera?
A gennaio-febbraio la pagina Facebook del ministero degli Esteri ha sfiorato le 300mila interazioni a settimana. Ma non è stata ancora tracciata una mappatura degli account delle ambasciate italiane all’estero, come invece hanno fatto altrove. Nel sito del ministero degli Esteri britannico sono presenti collegamenti che indirizzano ai siti delle ambasciate Uk nel mondo.
Però il ministero degli Esteri italiano nel programma di comunicazione 2013 ribadisce l’importanza dei “new tools” comunicativi…
È la prima volta che si dà notevole importanza ai nuovi strumenti di comunicazione. Potrebbe essere la base per costruire una strategia digitale della Farnesina, mentre finora ci si è affidati più che altro all’iniziativa privata di qualche singolo ambasciatore più “smart” di altri. Servirebbe anche individuare figure professionali esterne: gli Usa hanno scelto di inserire all’interno della diplomazia persone come Alec Ross, protagonista della comunicazione della prima campagna elettorale di Barack Obama, che veniva dal mondo dei media e non da quello dei diplomatici. E comunque, per quanto riguarda l’Italia, bisognerà vedere quanto il nuovo ministro degli Esteri, Emma Bonino, è aperta all’uso delle nuove tecnologie.
E all’estero quanto sta prendendo piede la digital diplomacy?
È noto che il fenomeno è nato negli Usa dall’alleanza tra San Francisco e Washington: perciò la diplomazia statunitense è chiaramente pioniera in questo contesto. Ma da poco più di un anno la digital diplomacy si sta affermando anche nei Paesi più piccoli e in quelli emergenti, anzi soprattutto in quelle aree, perché ne hanno compreso le enormi potenzialità e la facilità d’uso. Per esempio, da uno studio sulla Tweetplomacy, la diplomazia su Twitter, il ministro più interattivo sul sito dei cinguettii è risultato il capo del governo dell’Uganda, il secondo il presidente della Turchia. L’Italia si tiene al passo ma serve, comunque, una strategia comunicativa ad hoc.