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Design Thinking: in Italia crescono gli investimenti ma mancano le startup

Secondo la ricerca dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, gli innovatori che nelle imprese hanno adottato il nuovo approccio al Problem Solving sono soprattutto membri del board direttivo, esperti It, addetti Marketing e vendite e Designer, a cavallo di finanza e assicurazioni, energia, informazione e comunicazione, ma anche Pa

Pubblicato il 29 Mar 2019

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Trova applicazione in sempre più imprese italiane nei settori più diversi, abilita nuove forme di consulenza, è spinto da un ecosistema globale di startup digitali: si diffonde il Design Thinking, approccio alternativo all’innovazione che integra capacità analitiche con attitudini creative, permettendo di risolvere problemi complessi (Creative Problem Solving), di realizzare e testare rapidamente prodotti o servizi (Sprint Execution), di coinvolgere più profondamente i dipendenti nei processi creativi (Creative Confidence) o di ridefinire la vision aziendale (Innovation of Meaning), con una vera e propria esplosione negli ambiti in cui la trasformazione digitale richiede nuove competenze e capacità per lo sviluppo della customer experience.

In Italia sono stati individuati 282 “innovatori” che hanno adottato il Design Thinking, in particolare membri del board direttivo, esperti It, addetti Marketing e vendite e Designer, appartenenti a 215 imprese di diversi settori, soprattutto finanza e assicurazioni, energia, informazione e comunicazione, Pa. Il 56% di questi è costituito da utenti esperti che adottano la metodologia da più di un anno, la cui impresa investe in media 1,8 milioni di euro in innovazione e utilizzano il Design Thinking principalmente per progettare nuove esperienze per gli utenti, prevedere trend tecnologici e sviluppare piattaforme o ecosistemi di innovazione. Chi lo adotta da meno di un anno (con un investimento medio di 740 milioni di euro), lo impiega soprattutto per sviluppare nuovi prodotti o servizi, progettare esperienze utenti, promuovere nuovi valori, attitudini, comportamenti. A dirlo è la ricerca dell’Osservatorio Design Thinking della School of Management del Politecnico di Milano, presentata questa mattina a Milano in occasione del convegno “Mapping Design Thinking: Transformations, Applications and Evolutions”.

Nella consulenza si contano 291 progetti in Europa basati sul Design Thinking, sviluppati da società di consulenza strategica, agenzie digitali, studi di design e di sviluppo tecnologico. 128 di questi progetti sono stati avviati in Italia, dove è coinvolto mediamente il 48% dei dipendenti di ogni unità aziendale e il Design Thinking ha generato il 40% dei ricavi, soprattutto nei settori finanza, assicurazioni e manifattura. In Italia l’approccio che produce più ricavi nella consulenza basata su Design Thinking è il Creative Problem Solving (32%), seguito dal Creative Confidence (25%), dalla Sprint Execution (24%) e dall’Innovation of Meaning (15%). Nel nostro Paese i progetti durano in media otto mesi e coinvolgono mediamente oltre 20 attori, di cui sei del consulente e 15 dell’azienda con esigenze di innovazione. L’area che finanzia maggiormente i progetti è il board (33%), seguita da Marketing (11%) e Business development (10%). Quelle che guidano i progetti sono Board (19%), Marketing (16%) e Ict (13%), mentre le funzioni aziendali con il maggior numero di dipendenti che lavorano ai progetti sono marketing (63%), Ict (59%) e Board (58%).

La domanda di modelli alternativi di innovazione attira nuovi attori sul mercato. Sono 145 le startup a livello internazionale che offrono soluzioni a supporto dei processi di Design Thinking, per un totale di 1.033 milioni di dollari di finanziamenti raccolti, pari in media a 7,1 milioni a startup. Ma nessuna delle nuove imprese è italiana, per cui chi vuole fare meglio Design Thinking nel nostro Paese deve cercare all’estero potenziali partner o soluzioni di supporto.

“In un momento in cui siamo inondati da informazioni e in cui le innovazioni tecnologiche si susseguono a grande velocità, il Design Thinking consente di orientarsi e mantenere alta la concentrazione su ciò che veramente è in grado di coinvolgere tutti i livelli aziendali e di portare valore a un potenziale cliente”, afferma in una nota Roberto Verganti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Design Thinking for Business. “Le imprese italiane sono più consapevoli e mature rispetto al passato, ma spesso non sfruttano ancora tutte le potenzialità dei modelli alternativi di innovazione”.

Dove operano gli innovatori in Italia

Sono 282 gli innovatori italiani che adottano il Design Thinking, operando in 215 imprese in diversi settori dell’economia, di cui 156 “Adopter”, utilizzatori esperti con più di tre anni di esperienza, e 126 “Wannabe”, che hanno appena iniziato il loro percorso con un’esperienza media di sei mesi. “I numeri riflettono il divario di esperienza e di maturità fra i due gruppi”, suggerisce Stefano Magistretti, Ricercatore senior dell’Osservatorio Design Thinking for Business. “Gli Adopter generano ricavi per 546 milioni di euro contro i 442 dei Wannabe. Il gap si allarga ulteriormente se si considerano gli investimenti in innovazione: 1.848 milioni di euro (di cui 480 in Design Thinking) per gli Adopter e appena 740 milioni per i Wannabe (-149%). Il 60% delle realtà più esperte è costituito da grandi imprese, mentre il 56% dei Wannabe sono PMI. Insomma: una realtà a due velocità e un divario che rischia di aumentare”.

D’altro canto, il Design Thinking trova applicazione in diversi settori. Il 15% degli innovatori italiani opera nella finanza e nelle assicurazioni, il 14% nell’energia, il 14% nel settore informazione e comunicazione, e l’11% nella Pa. Le figure professionali più rappresentate sono il board direttivo, presenti nel 26% del campione, e gli esperti It, in organico nel 25% delle imprese. Seguono ruoli dedicati all’Innovazione (17%), addetti Marketing & Sales (16%) e Designer (15%).

L’approccio più adottato dagli Adopter è la Sprint Execution (30%), seguito da Creative Problem Solving (26%), Creative Confidence (24%), Innovation of Meaning (18%). La Sprint Execution è utilizzata prevalentemente nel settore informazione e comunicazione (42%), che invece usa poco la Creative Confidence (11%). Nella Pa domina la Creative Confidence (33%), mentre è scarsamente usato l’Innovation of Meaning (8%). L’energia si concentra sull’Innovation of Meaning (26%), mentre il retail preferisce il Creative Problem Solving (39%). Creative Problem Solving è l’approccio a cui è destinato il budget più alto (32%). Nel settore retail il più finanziato è la Sprint Execution, anche se non è l’approccio più diffuso in questo ambito. Nell’energia il budget più alto è dedicato al Creative Problem Solving (33%) anche se è il meno adottato (14%). La PA investe soprattutto in Creative Problem Solving (35%), Sprint Execution (27%) e Creative Confidence (25%), con investimenti marginali in Innovation of Meaning (8%). L’approccio che ha visto la crescita più netta degli investimenti è la Sprint Execution (33%, di cui il 17% in modo significativo), seguito dal Creative Problem Solving (30%, di cui il 12% significativamente), dall’Innovation of Meaning (24%, di cui il 13% molto) e dal Creative Confidence (24%, di cui il 12% in modo deciso).

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