“Bisogna far capire che il mondo dell’IT nostrano è
un’industria, sviluppare la filiera e puntare forte sulle
nicchie, perché è lì che l’Italia può giocare la sua
partita”. Sono parole di Paolo Angelucci, nuovo
presidente di Assinform, che, in un’intervista
rilasciata al Corriere delle Comunicazioni, fa il punto sul futuro
dell’informatica in Italia.
Presidente Angelucci, com’è la situazione?
Vorrei intanto chiarire che l’informatica italiana è
un’industria. Una grande industria: deve sicuramente crescere, ma
con i suoi 390mila addetti, le 92mila imprese e 20 miliardi di
mercato non ci sono dubbi sulla portata del comparto. Il problema
è che spesso il mercato non lo capisce ancora, e che quindi sarà
necessario in futuro comunicarlo meglio.
Certo è che rispetto al periodo d’oro, quello della
Olivetti, si è perso molto per strada. Si può recuperare ciò che
abbiamo lasciato indietro?
Io il periodo d’oro di Ivrea l’ho vissuto in prima persona e
credo che sia stato un momento irripetibile, anche perché gli
investimenti nell’IT erano settoriali. Ora, nel mercato globale,
gli investimenti devono essere globali e quindi, per quanto
riguarda i settori di largo consumo, difficilmente l’Italia
potrà giocare questa partita.
Mentre per quanto riguarda gli altri settori?
L’Italia dovrebbe puntare sulle nicchie ad alto valore aggiunto:
dematerializzazione, politica di governo della finanza… In Italia
ci sono tantissime eccellenze, e io vedo molto spazio per un made
in Italy dell’IT. Basti pensare che il miglior software per la
gestione dei vulcani lo abbiamo fatto noi. Mettendo assieme tante
nicchie nasce un mercato, un’industria. Credo che l’informatica
potrebbe seguire le tracce del mondo dell’arredo casa. Dovremmo
replicare le multinazionali tascabili anche nel settore dell’IT,
dove comunque già ci sono realtà come Txt o Replay. In Italia
abbiamo inventato gli sms, abbiamo le opportunità di crescere ma
il Paese deve investire di più: più occupazione, più
innovazione. Lo ribadisco: tante nicchie fanno un mercato. È ovvio
però che, anche in questa visione, i big standard, come la PA e il
settore Finance potrebbero portare avanti il mercato in maniera
molto forte.
Ma a livello concreto, quali potrebbero essere i primi step
per gli investimenti di cui parla?
Un inserimento del comparto tecnologico nella detassazione degli
investimenti sarebbe importante e stiamo cercando di pressare il
Governo in questo senso. Abbiamo avuto il riconoscimento verbale
che l’IT è un investimento, ma dobbiamo comunque misurarci con
una coperta che è corta e non può coprire tutto. C’è da dire
che l’esecutivo sta facendo una serie di cose importanti per
quanto riguarda l’ottimizzazione della spesa, che libera risorse
per gli investimenti innescando processi virtuosi che spostano la
spesa da quella corrente a quella per investimenti. Se poi si vuole
andare all’estero, non possiamo fare a meno del supporto della
finanza: le nostre imprese sono storicamente sottocapitalizzate, e
questo spesso impedisce loro di conquistare nuovi mercati che
magari potrebbero essere alla loro portata.
Full story nel numero 15 del
Corriere delle Comunicazioni in uscita il 14 settembre