L'INTERVISTA

Deus Technology, caccia alle banche con la robo-advisory made in Italy

La compagnia è l’unica italiana inserita dal Financial Times tra le 1.000 europee cresciute di più negli ultimi anni. E punta a conquistare mercato a suon di soluzioni fintech per la consulenza e gli investimenti. Il co-fondatore Orlando a CorCom: “Più difficoltà all’estero, dove l’italiano sta al software come in Italia il tedesco sta alla moda”

Pubblicato il 09 Giu 2017

Andrea Frollà

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È l’unica azienda italiana del settore inclusa dal Financial Times tra le mille imprese europee che hanno realizzato una percentuale di crescita più elevata tra il 2012 e il 2015. Nel 2016 ha confermato il trend di crescita: ricavi su del 52%, Ebitda al 25%. E ora punta a cavalcare l’ondata fintech, sia in Italia sia all’estero. Si tratta di Deus Technology, l’azienda fondata nel 2006 da Paolo Galli e Pasquale Orlando che sviluppa soluzioni software ad alto valore aggiunto per le banche. “Siamo un fintech enabler, facciamo cioè tecnologie che aiutano gli istituti di credito a implementare modelli di business digitali – spiega in un’intervista a CorCom il co-founder e direttore marketing Pasquale Orlando – Sviluppiamo algoritmi per gli investimenti e forniamo i dati che sono generati da questi servizi”.

Lo startup della Deus Technology è datato 2010. Allora il mobile era una novità per il settore bancario, oggi è la normalità o almeno dovrebbe esserlo, vista l’evoluzione digitale dei correntisti che usano sempre più il web per tenere sotto controllo il conto ed effettuare operazioni di pagamento. Ai due fondatori, che vantano un passato nel mondo del banking software, si sono subito uniti diversi sviluppatori, ex dipendenti Vodafone.

Oggi il team della Deus conta 42 persone, tra developer e data scientist, e nel suo portafoglio clienti ci sono una quarantina di grandi gruppi che operano in Italia, come Intesa, Generali, Credem, Bpm, Mediobanca e Banca Sella. I loro feedback hanno convinto i vertici della compagnia ad abbandonare qualsiasi ipotesi di svolta B2C. E nel futuro della robo-advisory della Deus Technology, rivela Orlando a CorCom, ci sarà ampio spazio per l’intelligenza artificiale.

Pasquale Orlando, direttore marketing Deus Technology

Negli ultimi anni avete registrato trend di crescita importanti, come testimonia il riconoscimento del Financial Times. Come spiega questa corsa?

La verità è che l’accelerazione l’hanno data la diffusione del fintech e la contemporanea crisi delle banche, che hanno iniziato ad aver bisogno di tagliare i costi senza impattare sui servizi. Noi abbiamo sviluppato diversi progetti di robo-advisory per efficientare i processi di consulenza e siamo cresciuti in corrispondenza dell’aumento dell’interesse degli istituti per l’automazione dei processi. Ci siamo ritrovati in un momento storico in cui la necessità di ridurre i costi e di offrire servizi innovativi ha spinto la domanda di tecnologia. Anche per questo abbiamo scelto di non essere una fintech B2C, ma di servire le banche. E oggi siamo una delle poche piattaforme che realizza un portafoglio hi-tech per ogni cliente, perché le banche hanno bisogno di modelli personalizzati.

Qual è il livello di automazione delle vostre soluzioni? E che peso ha il fattore umano?

Noi automatizziamo il processo però gli ingredienti importanti sono inseriti da un uomo. Nel mondo della consulenza ci sono due pilastri, ossia strategia e prodotti, che sono ambiti su cui interviene pesantemente l’uomo. Abbiamo struttura centrale con grandi competenze finanziare, che sceglie quali strategie e come valutare i prodotti È infatti il comitato investimenti a decidere se c’è da investire più o meno sul mercato azionario. E poi la macchina si preoccupa di creare dall’ipotesi. Spesso si fa confusione tra il robo-advisory, che supporta gli investimenti nel medio e lungo termine, e il trading, che si basa su sistemi automatici che hanno un orizzonte di brevissimo termine. Recentemente abbiamo fatto una partnership per l’intelligenza artificiale, per erogare servizi di consulenza tramite i robo-advisor nelle chat.

I sistemi della Deus Technology si occupano anche della profilazione degli investitori?

Non possiamo aggiungere granché al profilo valutato dal questionario Mifid. Però utilizziamo gli analytics di customer intelligence per analizzare i dati di ogni singolo cliente e aggregarli in cluster omogenei. Se immaginiamo il questionario Mifid come uno strumento che suddivide gli investitori in 5 profili verticali, gli analytics permettono inserire tante righe orizzontali con altre informazioni, come il numero di figli, il titolo di studio e soprattutto il transato del cliente. Cosa ha fatto quando c’era la crisi? Ci sono momenti in cui investi di più? Riusciamo cioè a comprendere più a fondo la reale conoscenza dei prodotti finanziari e la tendenza al rischio, aggiornando i profili ogni 3-4 mesi. Questo è ciò che permette di personalizzare le proposte. Se un investitore detiene azioni della Juventus da 10 anni il sistema capisce che è un tifoso e aiuta il comitato a capire che sarà inutile proporgli vendere.

Avete da poco messo la testa fuori dall’Italia: come procede il processo di internazionalizzazione?

Siamo all’estero da 8 mesi con l’idea di trovare dei partner, non con quella di aprire delle filiali. Accenture ha scelto di supportarci considerando le nostre soluzioni di robo-advisory ad alto potenziale di mercato. Stiamo esplorando numerosi mercati: Francia, Belgio, Turchia, Austria e Germania. Abbiamo chiuso un accordo in Turchia, siamo nelle short list di alcuni istituti in Belgio e Francia e stiamo valutando una pletora di partner per sviluppare prodotti di corporate banking. Stiamo parlando con diverse realtà di grandi dimensioni. Siamo favoriti dalla scarsa presenza di fintech enabler per le banche. Non ci sono troppi concorrenti. Speriamo nei prossimi 2 anni di contare almeno 3-4 grandi clienti all’estero.

State incontrando qualche ostacolo particolare fuori dai confini nazionali?

Purtroppo all’estero l’italiano sta al software come in Italia il tedesco sta alla moda. Forse avremmo dovuto fondare la società in Inghilterra o nella Silicon Valley. Paghiamo purtroppo lo scotto di essere italiani, perché c’è una forte diffidenza nei confronti del software made in Italy.

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