È un momento cruciale e decisivo quello che l’Italia dell’innovazione e delle start-up sta attraversando in questi anni. Da una parte un ritardo accumulato – in termini di investimenti, risorse e attenzioni al mondo del venture capital e delle start up – così significativo da essere scoraggiante e, dall’altra, una serie di promettenti segnali all’orizzonte: il tasso di crescita di operazioni di investimento in ambito technology più vivace d’Europa registrato dall’Italia negli ultimi anni (http://bit.ly/1CYcdqh) e una serie di progetti di ottima qualità in pipeline.
Diventa ora importante per il nostro paese fare il salto di qualità: cercando di avvicinare gli standard domestici a quelli di economie vicine, anche geograficamente, come la Francia che in venture ed innovazione destina cifre circa 10 volte l’Italia (circa 900 milioni di Euro vs 80 dell’Italia) e, soprattutto, in maniera costante nel tempo. Sarà solo allora che inizieremo a colmare gli oltre 10 anni di ritardo, e di ere siderali in termini di mentalità e risorse, che ci separano dal golden standard degli Stati Uniti che dieci anni fa investivano centinaia di milioni su startup che poi sono diventate Apple, Google, Amazon, Facebook: realtà che oggi stanno rivoluzionando l’economia tradizionale non solo in America e in Europa ma in tutto il mondo.
In Italia si è guardato finora al venture capital come ad uno strumento di nicchia e di trend temporanei: si pensi alla New Economy degli anni 2000 che evoca lo scoppio di una bolla- nella realtà solo finanziaria – e che invece in Italia si è pensato fosse industriale allontanando così i capitali a sostegno di quelle nuove aziende che negli altri paesi sono poi diventati veri e propri colossi planetari. L’effetto finale è che gli investitori credono che si tratti di un gioco e non quello che in realtà realmente può rappresentare: un motore per la mobilità imprenditoriale che, più che mai negli ultimi decenni, in Italia si è persa. Il principio del venture capital, per assolvere al suo ruolo di motore dello sviluppo e dell’innovazione, è quello di investire sul periodo lungo e finanziare in questo modo il cambiamento, con pazienza, “visione” e senza pretendere di riportare a casa i quattrini in 18 mesi. Le startup di oggi possono essere i concorrenti di domani, o aziende da acquisire per cambiare le imprese dall’interno.
Le blue chip nazionali devono guardare al venture capital e provare a conoscere, e fare sinergia, con il nostro sistema. L’auspicio per gli associati di Assinform, aziende tra le più vocate al futuro dell’intero sistema economico, è di cercare di stabilire un confronto e creare insieme un percorso propedeutico alla trasformazione dell’Italia. Trasformazione che prima o poi arriva: o si partecipa o si subisce.