Pubblichiamo le opinioni dei deputati e dei senatori che hanno aderito all’intergruppo sull’Innovazione. Un insieme di eletti bipartisan che “fa gruppo” con l’obiettivo di sensibilizzare i Palazzi e indirizzare i provvedimenti esaminati da aule e commissioni per “rimettere il digitale al centro delle decisioni parlamentari”.
Risponde Tito Di Maggio, classe 1960, imprenditore, eletto al Senato nella lista di Scelta civica per l’Italia, è vicepresidente del gruppo Per l’Italia. Fa parte della seconda commissione permanente sulla Giustizia.
Senatore Di Maggio, perché ha aderito all’intergruppo Innovazione?
Semplicemente perché provenendo dal mondo dell’impresa trovo che questa fosse per me una collocazione naturale. Il dato fondamentale è che bisogna rivisitare profondamente la politica. L’esperienza professionale mi ha insegnato che nella situazione nella quale ci troviamo l’unico modo per poter mantenere in vita il made in Italy è fare ciò che siamo capaci di fare meglio, quindi fare innovazione su tutti i prodotti.
Nel campo dei mobili e del salotto posso dirle che se noi non inventassimo continuamente un meccanismo in più o una linea di disegno nuova oggi saremmo tagliati fuori dai circuiti internazionali. Se rimaniamo in vita in un momento in cui i costi di produzione ci penalizzano rispetto ai nostri competitor sullo scacchiere internazionale lo dobbiamo al valore aggiunto del made in Italy, che si tiene in piedi soltanto attraverso l’innovazione.
Quali sono le questioni prioritarie dal punto di vista dell’innovazione che state affrontando in commissione Giustizia?
Devo dirle che purtroppo l’agenda politica subisce poco il fascino del mondo produttivo. Ci occupiamo molto di più di 416bis, di unioni di tutti i tipi o di revisionismo storico e negazionismo. Cose molto più importanti come la tutela della proprietà intellettuale o del diritto d’impresa, che sarebbero per noi fondamentali, non riescono a trovare posto negli ordini del giorno.
Quali sono le sfide più importanti da affrontare in Aula per portare innovazione nel Paese?
Il tema più importante è la riforma del sistema giustizia, perché un sistema che funziona in questo modo non può andare d’accordo con chiunque abbia intenzione o voglia di fare impresa. Il processo telematico ha una sua valenza in questo contesto, perché anche attraverso questo mezzo si possono ridurre i tempi della giustizia, ma da solo non risolve nulla, perché la ristrutturazione del sistema giustizia del Paese deve scavare nel profondo. Sul piano culturale si sconta il fatto che non sia mai stata tentata la mediazione tra due grandi interessi in gioco: quelli della consorteria e della casta degli avvocati contrapposti a quelli della consorteria e della casta dei magistrati. In mezzo ci sono i diritti del cittadino, che non trovano alcun tipo di risposta.
Qual è il valore aggiunto di essere un intergruppo con più di 50 componenti, presenti in tutte le commissioni di Camera e Senato e provenienti da diverse formazioni politiche?
E’ un valore simbolico sul quale qualcuno dovrebbe riflettere molto. Nel momento in cui mi pone questa domanda lei ha perfettamente chiaro qual è lo scenario rispetto al futuro del Senato. Siccome a me non sfugge che siamo in un sistema bicamerale, e dal momento che sono disponibile a ragionare sul fatto che c’è la necessità che il nostro non sia più un sistema bicamerale perfetto, che ha fatto il suo tempo. Come nella logica che sostiene questo intergruppo, dovremmo ragionare insieme su quali devono essere le competenze di senatori e deputati: solo attraverso il ragionamento e il confronto che si possono migliorare i provvedimenti, ma queste sono due voci che credo non facciano parte del vocabolario del nostro presidente del Consiglio.
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