«Fermo restando il diritto di ottenere la rettifica o l’aggiornamento delle informazioni contenute nell’articolo ritenuto lesivo dei propri diritti, l’interessato può chiedere l’eliminazione, dai siti internet e dai motori di ricerca, dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione di disposizioni di legge» e, a tal fine “l’interessato, in caso di rifiuto o di omessa cancellazione dei dati, ai sensi dell’articolo 14 del Dl 9 aprile 2003, n. 70, può chiedere al giudice di ordinare la rimozione, dai siti internet e dai motori di ricerca, delle immagini e dei dati ovvero di inibirne l’ulteriore diffusione”. Recita così l’art. 3 del Ddl in materia di diffamazione all’esame del Senato.
Una disposizione destinata a far discutere e che pure sembra essere passata inosservata tanto da essere stata approvata dalla Commissione Giustizia senza grandi resistenze.
Non è così. Per cominciare perché la disposizione è scritta male e non chiarisce quali siano gli “articoli” cui è destinata ad applicarsi ovvero se si tratti solo dei contenuti pubblicati su testate telematiche o anche di quelli pubblicati su siti di diverso genere quali, ad esempio, blog, piattaforme di aggregazione di contenuti, ecc. Non è una “dimenticanza” di poco conto.
L’attuale Ddl, infatti, limita l’applicazione del c.d. obbligo di rettifica ai soli contenuti pubblicati da testate telematiche regolarmente registrate in tribunale ed in relazione ai soli contenuti prodotti dalla redazione con esclusione, quindi, dei commenti dei lettori. L’art. 3 sembra riferirsi genericamente a qualsiasi contenuto pubblicato su qualsiasi sito.
I senatori hanno, dunque, intenzione di prevedere che ogni blogger ed ogni cittadino che pubblichi un qualsiasi contenuto online possa diventare destinatario di una richiesta di cancellazione e che, in ogni caso, i motori di ricerca possano essere chiamati a disindicizzare, a richiesta, qualsiasi contenuto pubblicato online? Si tratta di uno scenario preoccupante. Se la previsione in questione diventerà legge – come probabile – per condannare un contenuto all’oblio, basterà scrivere a Google e chiedere di disindicizzarlo. Sembra difficile pensare che Google – al pari degli altri grandi motori – possano prendersi la briga di difendere la libertà di informazione di ciascuno di noi opponendosi alle richieste di disindicizzazione ed esponendosi al rischio di ritrovarsi in Tribunale.