Gli utenti di Internet sono più consapevoli oggi dei rischi per la privacy dei loro dati online. E spesso non si fidano del modo in cui le aziende utilizzano queste informazioni. Al tempo stesso, però, sono pronti ad affidare i propri dati a un brand che ha guadagnato il loro trust per ottenere contenuti e promozioni rilevanti per i loro interessi.
Questo mix di opportunità e rischi per il marketing digitale emerge da due studi commissionati da Google e realizzati in collaborazione con Ipsos e Bcg. Gli studi concludono che “l’uso responsabile dei dati di prima parte da parte dei professionisti del marketing permette di ottenere un impatto positivo sulle entrate e maggiore efficienza, soddisfacendo allo stesso tempo la domanda dei consumatori” che vogliono il controllo su come i loro dati personali vengono utilizzati online.
“Questi studi di riferimento forniscono un modello per le aziende che vogliono soddisfare il crescente desiderio di privacy del pubblico e, a loro volta, costruire relazioni più profonde e significative con i loro clienti”, ha dichiarato Matt Brittin, President of Business and operations di Google in Emea. “La privacy non è più un “nice to have”: per i clienti è essenziale. I nostri risultati oggi mostrano che le persone sono disposte a condividere i loro dati, a condizione che i brand siano trasparenti su quali dati raccolgono, come vengono utilizzati e qual è il vantaggio per il cliente”.
Dati online, i consumatori vogliono il “controllo”
Lo studio di Ipsos commissionato da Google e intitolato “Privacy by design: Exceeding customer expectations” evidenzia che oltre due terzi (70%) degli utenti di Internet tra i 16 e i 74 anni a livello globale sono preoccupati di come vengono utilizzate le informazioni raccolte su di loro quando sono online e solo il 3% degli intervistati crede di avere il controllo completo della divulgazione e della rimozione dei propri dati online. Il 68% degli intervistati si è dichiarato scettico riguardo al modo in cui le aziende usano i loro dati nel marketing
Le persone, però, si rivelano maggiormente soddisfatte degli annunci che considerano di valore: una ricerca globale di Ipsos mostra che nove utenti di internet su dieci (91%) tra i 16 e i 74 anni sono più propensi ad acquistare prodotti di brand che forniscono offerte e suggerimenti per loro pertinenti.
Gli intervistati sono anche più propensi a dare il permesso a un brand “fidato” di mostrare offerte di valore basate su informazioni più dettagliate.
Gli intervistati si mostrano tre volte più propensi a rispondere positivamente alla pubblicità quando percepiscono una maggiore sensazione di controllo su come vengono utilizzati i loro dati.
Rischi e opportunità per il marketing
Il report di Ipsos, che include tre grandi studi quantitativi condotti in diversi paesi europei tra il 2019 e il 2021, descrive lo scenario sulla privacy dei dati online come un “divario tra il dire e il fare” (“say-do gap”). Per esempio, l’80% degli intervistati ha detto di essere preoccupato per il potenziale uso improprio dei dati personali, ma il 93% si mostra favorevole nel fornire alle aziende informazioni che potrebbero essere considerate sensibili, come nome, indirizzo, dati di contatto o informazioni sulla propria famiglia, in cambio del servizio fornito.
Nello studio si sottolinea che mentre ci sono riscontri positivi per i professionisti del marketing che adottano un approccio incentrato sulla privacy, le conseguenze di un atteggiamento erroneo sono preoccupanti: i brand che non danno alla privacy l’attenzione che merita rischiano di perdere la fiducia e il rispetto dei loro clienti.
Ipsos ha identificato tre aree chiave in cui i professionisti del marketing possono andare oltre i requisiti legali minimi per mettere la privacy dei consumatori al primo posto, senza rinunciare a creare campagne d’impatto: Dare un senso; rendere memorabile e rendere gestibile.
Nel primo caso si tratta di dare alle persone una chiara proposta di valore in cambio della cessione dei dati. Nel secondo di ottenere una’autorizzazione consapevole all’uso dei dati: le persone hanno una comprensione limitata di come funziona la privacy online, e questo influenza il modo in cui percepiscono la pubblicità. Quando però si ricordano delle scelte che hanno fatto in merito alla condivisione dei dati, hanno risposte più positive.
Infine, le persone si aspettano di avere controllo sui loro dati personali e quando avvertono la mancanza di questo controllo, possono diventare scettiche nei confronti del marketing digitale. I professionisti del marketing dovrebbero fornire gli strumenti e le informazioni di cui le persone hanno bisogno per gestire le preferenze in materia di privacy, come la frequenza delle comunicazioni e la rinuncia alle categorie di interesse.
“La nostra ricerca mostra quanto sia importante per i brand garantire la privacy”, un’area complessa dove i consumatori possono avere atteggiamenti e comportamenti “contraddittori”, ha sottolineato Katherine Jameson Armstrong, Head of Qualitative media research presso Ipsos Mori.
Verso la maturità del marketing digitale
Mentre cercano di affrontare queste sfide, i professionisti del marketing potrebbero trarre spunti interessanti da un nuovo studio di Bcg. Il report parte dal benchmark della maturità del marketing digitale del 2019 per capire meglio come le aziende utilizzano i dati proprietari per costruire relazioni più significative con i clienti e fornire esperienze migliori, e mira a ridefinire il futuro della maturità del marketing digitale.
Basato su workshop, interviste e audit con decine di agenzie, esperti e brand in tutta Europa, lo studio dimostra che i professionisti del marketing digitalmente maturi sono stati in grado di rispondere meglio alle mutevoli dinamiche del mercato e hanno avuto il doppio delle probabilità di aumentare la loro quota di mercato in un periodo di 12 mesi. Hanno anche continuato a superare i concorrenti meno specializzati di una media di 29 punti percentuali in termini di risparmio sui costi e di 18 punti percentuali in termini di entrate.
“Quando si tratta di marketing digitale, le aziende meno mature devono accelerare, aumentando i propri sforzi per recuperare il ritardo accumulato”, ha affermato Javier Pérez Moiño, Managing Director e Partner di Bcg e coautore del report.
La pubblicità digitale in un mondo senza cookie
Bcg suggerisce che i brand dovrebbero concentrarsi su quattro acceleratori chiave per rendere il loro business a prova di futuro, e risalire la classifica per trasformarsi in organizzazioni digitalmente mature. Innanzitutto, costruire un ciclo virtuoso intorno ai dati di prima parte: i brand migliori comprendono quali dati sono utili e perché, e costruiscono proposte convincenti intorno ai dati di prima parte per ottenerli. Una best-practice sui dati riguarda uno scambio di valore bidirezionale: da un lato l’azienda acquisisce la capacità di fornire una migliore esperienza al cliente e un marketing più efficace, mentre il cliente ottiene informazioni utili, assistenza e offerte.
Secondo punto è investire nella misurazione end-to-end, sfruttando i modelli predittivi per riuscire a misurare l’impatto dei diversi tipi di interazioni, indipendentemente dal canale. Si tratta di un fattore sempre più cruciale in un mondo senza cookie.
Terzo, dare priorità all’agilità per permettere ai team di colaborare e riuscire a implementare buone pratiche relative ai dati, applicando un approccio alla misurazione di tipo “test-and-learn” (sperimentare e apprendere).
Infine, adottare nuove competenze con reskilling e collaborazioni con risorse esterne.
“Non c’è futuro per la pubblicità digitale senza privacy”, conclude Matt Brittin di Google. “È vitale che i brand si adattino a questo panorama in evoluzione investendo in una migliore misurazione end-to-end, creando uno scambio di valore chiaro e bidirezionale incentrato sui dati di prima parte e abbracciando nuove competenze e partnership”.