L’ANALISI

Digital Markets Act, chance imperdibile per l’innovazione made in Europe



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Ma serve coordinare meglio capitali pubblici e privati per massimizzare i fondi destinati al settore tecnologico. Necessario anche cambio di mindset sulla propensione al rischio d’investimento. Cruciale il ruolo del venture capital. L’analisi di Umberto Bottesini, Co-Founder e Managing Partner del fondo BlakSheep

Pubblicato il 1 lug 2024

Umberto Bottesini

Co-Founder Managing Partner del fondo BlakSheep



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Il Digital Markets Act (Dma), entrato in vigore nell’Unione Europea, rappresenta un’importante svolta normativa volta a tutelare il diritto di scelta dei consumatori. Questo atto è stato introdotto per affrontare le pratiche anticoncorrenziali dei cosiddetti “walled garden”, come Google, Microsoft e Apple, che spesso hanno privilegiato l’adozione delle proprie soluzioni software all’interno dei loro ecosistemi, limitando di fatto le opzioni disponibili per i consumatori.

Il Dma identifica come “gatekeepers” quelle piattaforme digitali che hanno un impatto significativo sul mercato interno, servono come gateway per i servizi di utenti aziendali verso utenti finali e beneficiano di una posizione consolidata e durevole sul mercato. I gatekeeper secondo le previsioni del Dma non possono più privilegiare i propri servizi o prodotti rispetto a quelli di terze parti nelle loro piattaforme. Devono permettere agli utenti di disinstallare le app preinstallate e di cambiare le impostazioni predefinite dei sistemi operativi, browser e altri servizi.

Viene invece promossa l’interoperabilità tra le piattaforme, consentendo agli utenti di comunicare e condividere dati tra diverse applicazioni e servizi. Questo riduce la dipendenza da un singolo fornitore e aumenta la concorrenza. I gatekeeper devono altresì fornire un accesso equo ai dati generati dalle loro piattaforme a fornitori terzi, permettendo così la creazione di servizi competitivi e innovativi.

Passo verso un mercato più competitivo

Il Digital Markets Act rappresenta un passo significativo verso un mercato digitale più aperto e competitivo in Europa. Questo cambiamento normativo ha il potenziale di trasformare significativamente il panorama digitale, a beneficio sia degli utenti finali, sia dell’innovazione di matrice europea nel settore tecnologico globale.

Spesso la stampa americana ha accusato l’Europa di “bloccare” le aziende statunitensi, ostacolando l’innovazione e abbassando il livello di servizio agli utenti finali. In realtà, l’Europa non sta bloccando nessuno; piuttosto, sono i gatekeeper che stanno legittimamente scegliendo di ritardare alcuni lanci commerciali in Europa (come Apple con il suo servizio di intelligenza artificiale denominato “Intelligence”) perché l’Unione Europea richiede standard di tutela per i propri consumatori che questi soggetti non vogliono concedere per proteggere sé stessi dalla concorrenza e mantenere i loro “giardini recintati”.

Si tratta di una strategia per prendere tempo in attesa di capire come reagire meglio nel medio-lungo periodo. E’ ormai chiaro che la via legale, tramite ricorso contro le decisioni della Commissione europea per la concorrenza contestando la mancanza di prove di danno ai consumatori (così come recentemente fatto dalla stessa Apple), non rappresenti più una strategia vincente. I gatekeeper sanno bene che l’unica strada percorribile è piuttosto quella di continuare a fare ciò che nel passato li ha resi dominanti sul mercato: dimostrare di saper ancora produrre i migliori prodotti e continuare ad essere la prima scelta per i loro consumatori, competendo con i newcomers.

Anche a livello di narrativa l’Europa severa normatrice, rappresentata troppo spesso dalla stampa statunitense, non regge più. Se esiste un servizio più innovativo, più semplice da usare o più economico, è giusto che l’utente possa scegliere di utilizzarlo senza vincoli. Questo rappresenta un’enorme opportunità per l’industria tecnologica europea, che potrà finalmente vedere valorizzata la propria offerta, precedentemente esclusa dai grandi monopoli.

Chance per il mercato dell’innovazione

Ma questa è anche e soprattutto una grande chance per il mercato dell’innovazione europea, che ora non ha più scuse. Gli operatori del capitale di rischio, fondi di venture capital e private equity in primis, dovranno necessariamente organizzarsi per supportare l’impresa locale, fornendo le risorse necessarie in primis a trattenere qui i tanti talenti che il vecchio continente ha abbondantemente esportato negli scorsi decenni, ed assumersi la responsabilità di accompagnare la crescita di giovani compagnie capaci di mettere a terra un prodotto capace di sfidare i colossi cinesi e statunitensi. Ciò prevede però il soddisfacimento di due pre-condizioni, una di carattere quantitativo ed una qualitativa: la capacità di coordinare meglio capitali pubblici e privati per massimizzare il livello di funding destinati all’impresa tecnologica domestica, ed un radicale cambio di mindset sulla propensione al rischio d’investimento.

Per fortuna questo processo sembra essere avviato, la crescita dell’ecosistema europeo sta già producendo i primi risultati: un maggior numero assoluto di imprese tech rispetto al passato, la nascita dei primi unicorni, e la voglia di dimostrare che le geografia di origine non sia un limite per chiunque si occupi di business scalabili. D’altra parte la storia, in particolare dei Paesi con i quali vorremmo finalmente tornare a confrontarci, ci ha più volte insegnato come la vera innovazione quasi mai provenga dal centro di economie mature e consolidate, ma quasi sempre dalle proprie periferie.

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