A sei mesi di distanza dalla pubblicazione del Digital Services Act sulla Gazzetta Ue, l’attesa lista delle big tech che non potranno più ignorare le regole di Bruxelles è arrivata. Si tratta delle 19 società che hanno certificato di avere oltre 45 milioni di utenti attivi al mese. Parliamo ovviamente di Google, Apple, Meta, Amazon, Microsoft, Twitter, le cinesi TikTok e AliExpress, Booking, Pinterest, Snapchat, Wikipedia e Zalando, solo per citare le principali.
I termini per le big tech
Il commissario per il Mercato interno, Thierry Breton, ha detto senza mezzi termini che “il conto alla rovescia è iniziato”. E ha nel 25 agosto il suo termine più importante. Da quel momento “dovranno cambiare i loro comportamenti” se vorranno restare in Europa. Ci sono quattro mesi di tempo per “rispettare pienamente gli obblighi speciali” previsti dal regolamento Ue.
In particolare, le piattaforme dovranno produrre analisi dei rischi connessi ai loro servizi in termini di diffusione di contenuti illegali, violazione della privacy o della libertà di espressione, ma anche in materia di salute o sicurezza pubblica, compreso il benessere psicologico dei minori. E poi predisporre strumenti adeguati per una moderazione dei contenuti più affidabile, con la rimozione tempestiva di quelli illeciti, oltre ad aprire i propri algoritmi ai servizi Ue e offrire l’accesso ai dati ai ricercatori autorizzati. Regole che vanno ad aggiungersi ai precetti del Dsa validi anche per le società più piccole, che entreranno di fatto in vigore il 17 febbraio 2024. E che prevedono una stretta sulla profilazione, il divieto di utilizzare i dati sensibili degli utenti (sesso, orientamento politico, appartenenza religiosa) per pubblicità mirate, e obblighi di trasparenza.
È prevista anche una serie di stress test che Breton intende condurre, in alcuni casi, in prima persona. Prima in California, a giugno, su invito di Elon Musk nel quartier generale di Twitter. E poi in Asia da ByteDance, per capire meglio “le origini” e “le innovazioni” di TikTok. E presto l’avvertimento potrebbe arrivare anche ad altre “quattro o cinque” società, tra cui, pare, ci sono Telegram, AirBnB, PornHub e Spotify.
Cosa prescrive il Digital Services Act
Entrando più nel dettaglio, con l’entrata in vigore del Digital Services Act tutte le piattaforme digitali sono chiamate ad adeguare le loro politiche alle norme Ue. Tra le principali novità, la moderazione dei contenuti dovrà essere più affidabile per contrastare i contenuti illegali, i bot e le fake news. Sono previsti sistemi di ‘notifica e risposta’ per la rimozione diretta dei contenuti illegali o nocivi, la responsabilità legale nei confronti degli utenti sarà a capo delle major.
Rispetto al tema della trasparenza, il regolamento banna termini e condizioni lunghi e oscuri: le indicazioni di utilizzo dovranno essere semplici e concise in tutte le lingue dei 27 Paesi membri. Anche l’uso degli algoritmi dovrà essere più trasparente: le piattaforme dovranno etichettare chiaramente gli annunci pubblicitari.
Gli utenti dovranno inoltre avere la possibilità di rinunciare alla profilazione e sarà vietata qualsiasi tipo di pubblicità basata su dati sensibili come l’origine razziale o etnica, l’orientamento sessuale o le opinioni politiche.
I sistemi saranno tutti da riprogettare per “garantire un elevato livello di privacy, sicurezza e incolumità dei minori“, introducendo strumenti come la verifica dell’età e il controllo parentale. Vietato qualsiasi tipo di pubblicità mirata nei confronti dei bambini.
Le piattaforme sono inoltre chiamate a presentare piani annuali di valutazione del rischio per affrontare qualsiasi minaccia che possono rappresentare per la società, compresa la salute pubblica, e quella fisica e mentale anche dei minori. Vale anche per l’uso di servizi di intelligenza artificiale come ChatGpt e MidJourney.
Come accennato, Bruxelles ha già promesso stress test durante l’estate. Poi, da fine agosto, le compagnie saranno sottoposte a controlli indipendenti regolari, oltre alla rigorosa supervisione Ue. Chi non ottempera, rischia di incappare in multe fino al 6% del suo giro d’affari annuo e, in caso di recidiva, nel divieto di operare sul suolo europeo.
La Gran Bretagna verso un ulteriore giro di vite?
Le multe potrebbero invece arrivare fino al 10% del fatturato, se verrà approvato il disegno di legge presentato in Parlamento dal governo di Rishi Sunak per rafforzare la tutela degli utenti d’internet e la concorrenza.
Il testo è stato preparato sulla base di una serie di indicazioni date dalla Competition and Markets Authority (Cma), l’organismo regolatore indipendente d’Oltremanica per la concorrenza e il mercato, in modo da cercare di assicurare meccanismi più severi, efficaci e immediati a garanzia dei diritti dei consumatori: senza costringerli ad avventurarsi in lunghe azioni giudiziarie nei confronti di aziende dal potere economico enorme. Il provvedimento, secondo una nota del governo Tory, oltre a evocare la mannaia delle super multe dovrebbe consentire alle autorità britanniche di mettere al bando recensioni dubbie o pubblicità ingannevoli al minimo sospetto; e agli utenti di cancellare con effetto immediato, e senza dover sottostare a clausole vessatorie, eventuali sottoscrizioni-trappola di servizi non graditi.
Sono previste pure regole più stringenti contro la posizione dominante d’un numero limitato di grandi gruppi sul mercato dei vari servizi digitali, sorvegliate da un nuovo dipartimento ad hoc (denominato Digital Markets Unit) da costituire come una task force interna alla Cma.
L’iniziativa, se andrà in porto, potrebbe avere un impatto significativo sulle pratiche di giganti quali Meta, Google, Amazon, Apple e Microsoft. Una portavoce di Redmond ha fatto sapere che il gruppo intende seguire l’iter parlamentare della proposta passaggio per passaggio: per verificare se e come il testo potrà essere emendato prima d’ipotizzare qualunque giudizio o reazione.