IL CASO

Digital Services Act, scatta il ricorso di Amazon: “Non siamo colossi”

Dopo Zalando anche la società e-commerce avvia un’azione legale alla Corte di giustizia Ue per essere “declassificata” dalla lista delle 17 very large online company obbligate al rispetto di stringenti requisiti. “La stragrande maggioranza dei nostri ricavi proviene dalla attività di vendita al dettaglio, nessuno dei grandi rivenditori in Europa è stato designato come Vlop”

Pubblicato il 12 Lug 2023

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Amazon non è designabile come gatekeeper in base alle nuove norme europee sui servizi digitali (Dsa). Su questa tesi il gigante americano dell’e-commerce basa la sua richiesta alla Corte di giustizia dell’Ue di annullare la decisione con cui la Commissione europea l’ha classificata tra le grandi piattaforme online (Vlop o very large online platforms), che ricadono sotto una serie di obblighi aggiuntivi, tra cui vigilare sulla pubblicazione di contenuti che incitino all’odio o diffondano disinformazione.

Il ricorso presentato – di cui scrive il Financial Times – segue l’entrata in vigore del Digital services act, il nuovo set di regole che, insieme al Digital market act (Dma), mira a tutelare i consumatori di fronte ai servizi offerti dalle big tech sul web.

Il Dsa, secondo le osservazioni di Amazon riportate dal FT, “è stato concepito per affrontare i rischi sistemici posti dalle grandi compagnie che hanno la pubblicità come prima fonte di reddito e che distribuiscono conversazioni e informazioni. Non è questo il caso di Amazon”. Per il gigante di Seattle, essere inseriti nella lista di Bruxelles comporta “obblighi amministrativi onerosi” che finirebbero col danneggiare i consumatori europei.

Amazon: “Non siamo una very large online platform”

Amazon ha dichiarato di essere stata “ingiustamente etichettata” nell’elenco dell’Ue, che include altri giganti tecnologici americani come Meta, Google e Apple.

“Siamo d’accordo con l’obiettivo della Commissione europea e siamo impegnati a proteggere i clienti da prodotti e contenuti illegali. Tuttavia, Amazon non corrisponde a questa descrizione di una piattaforma online molto grande (Vlop) ai sensi del Dsa – afferma l’azienda americana – e pertanto non dovrebbe essere designata come tale. La stragrande maggioranza dei nostri ricavi proviene dalla nostra attività di vendita al dettaglio, non siamo il più grande rivenditore al dettaglio in nessuno dei paesi dell’Ue in cui operiamo e nessuno di questi più grandi rivenditori presenti in ogni paese europeo è stato designato come Vlop. Se la designazione Vlop dovesse essere applicata ad Amazon e non ad altri grandi rivenditori dell’Ue, Amazon verrebbe ingiustamente colpita dalla normativa e costretta a soddisfare obblighi amministrativi onerosi che non avvantaggiano i consumatori dell’Ue”.

Il ricorso di Zalando

Il Digital service act è entrato in vigore alla fine dello scorso anno ed è pienamente operativo da maggio. La Commissione ha compilato e pubblicato la lista delle 17 grandi piattaforme più 2 motori di ricerca (Google search e Bing) che, in quanto considerate gatekeeper, saranno tenute sotto osservazione.

La prima piattaforma a presentare ricorso (su basi simili a quelle proposte da Amazon) contro la nuova normativa Ue è stata l’azienda europea dell’e-commerce Zalando. “Sosteniamo il Digital services act e i suoi obiettivi, ma la Commissione europea ha interpretato erroneamente i numeri dei nostri utenti e non ha riconosciuto il nostro modello di business, basato soprattutto sul retail. Il numero di visitatori europei che acquistano dai nostri partner è di gran lunga inferiore rispetto alla soglia fissata dal Dsa per essere considerati una very large online platform”, ha spiegato l’azienda tedesca.

Le big tech nel mirino dell’Ue

Il Digital services act richiede alle aziende con oltre 45 milioni di utenti attivi mensili di rispettare una serie di regole sul controllo dell’incitamento all’odio, della disinformazione e delle contraffazioni presenti sulle loro piattaforme. Le aziende devono presentare valutazioni del rischio e condurre audit esterni e indipendenti, altrimenti rischiano multe fino al 6% delle loro entrate annuali.

Quanto al Dma, sette grandi piattaforme digitali hanno notificato a Bruxelles il loro status di gatekeeper ai sensi delle disposizioni della nuova norma. Si tratta di cinque  statunitensi – Google, Apple, Meta, Amazon e Microsoft, una cinese – ByteDance, casa madre di TikTok – e una sudcoreana, Samsung. 

Queste società “hanno dimensioni che incidono sul mercato interno”, ha spiegato il commissario per il Mercato interno, Thierry Breton.

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