LAVORO

Digital skill, la “data literacy” sarà la competenza più richiesta nel 2030

L’85% dei dirigenti ritiene che la capacità di leggere, analizzare e comunicare con i dati sarà un requisito strategico al pari dell’utilizzo del pc. Ma servirà una formazione “orizzontale” che coinvolga anche i dipartimenti HR, finance e marketing. Il report di Qlik e The Future Labs

Pubblicato il 22 Mar 2022

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Sarà la data literacy”, l’alfabetizzazione dei dati, la competenza più richiesta dal mercato del lavoro entro il 2030. L’85% dei dirigenti crede che diventerà un requisito strategico alla pari dell’abilità di utilizzare un computer. Emerge dal report di Qlik (realizzato in collaborazione con The Future Labs) secondo cui il 58% dei manager ritiene che l’alfabetizzazione dei dati li aiuterà a mantenere un ruolo di rilievo sul lavoro, con l’introduzione sempre più massiccia dell’Intelligenza artificiale. E ogni singolo business leader è disposto a offrire un aumento di stipendio del 26% a candidati in possesso di requisiti di “data analyst”.

Ma i dipendenti sono ancora impreparati

Soltanto un dipendente su cinque ritiene però che il proprio datore di lavoro stia fornendo gli strumenti giusti per un posto di lavoro maggiormente automatizzato e più orientato ai dati. Il 35% dei dipendenti intervistati ha riferito di aver cambiato azienda negli ultimi 12 mesi perché riteneva che il proprio datore di lavoro non offrisse sufficienti opportunità di aggiornamento e formazione. Emerge dunque come nella forza lavoro ci sia una forte necessità di migliorare le proprie competenze per sostenere nuove richieste e nuovi requisiti professionali.

Stando all’analisi, l’utilizzo dei dati e la loro importanza nel processo decisionale sono raddoppiati nell’ultimo anno. L’89% dei dirigenti si aspetta che tutti i membri del team siano in grado di spiegare come i dati abbiano guidato le loro decisioni.

Metodologie di lavoro più intelligenti e automatizzate

La richiesta di competenze in fatto di dati riflette significativi cambiamenti sui processi di lavoro, dovuti all’aumento dell’intelligenza artificiale. I leader aziendali ritengono che le pratiche quotidiane dei dipendenti cambieranno, diventando sempre più collaborative grazie anche al supporto di strumenti intelligenti che li aiutano a prendere decisioni migliori (84%) ed essere più produttivi (83%).

Per realizzare il proprio potenziale, il 40% dei dirigenti prevede che la propria organizzazione assumerà un Chief Automation Officer entro i prossimi 3 anni, arrivando ad una percentuale superiore al 99% se si fa riferimento al prossimo decennio. Ma l’investimento non può terminare con le assunzioni senior: chi è in prima linea ritiene di necessitare di supporto durante questa transizione. Inoltre, il 58% dei dipendenti sostiene che l’alfabetizzazione dei dati li aiuterà a mantenere una posizione di rilievo nonostante l’uso crescente dell’AI.

Aggiungere valore agli algoritmi

“Si parla spesso di come i dipendenti debbano capire e sfruttare al meglio l’Intelligenza artificiale e come questa cambierà e completerà il loro ruolo – spiega Elif Tutuk, VP of Innovation & Design di Qlik – ma dobbiamo in primis aiutarli a sviluppare le competenze che gli consentono di aggiungere valore all’output di questi algoritmi intelligenti. L’alfabetizzazione dei dati sarà fondamentale per estendere la collaborazione sul posto di lavoro oltre i rapporti tra colleghi. La creatività e il pensiero critico saranno la chiave per sfruttare realmente l’intelligenza della macchina”.

Ma la formazione aziendale non è ancora sufficiente

Nonostante sia percepito come fondamentale per il successo dell’impresa – sia oggi che in futuro – solo l’11% dei dipendenti intervistati si sente pienamente sicuro delle proprie competenze in materia di dati. Eppure, la convinzione più comune tra i leader aziendali è che sia responsabilità dell’individuo, piuttosto che del datore di lavoro o delle istituzioni di formazione, prepararsi con le giuste competenze per il proprio futuro professionale.

Laddove le organizzazioni stanno investendo sulla formazione in alfabetizzazione dei dati, la ricerca mostra che lo si sta facendo soprattutto nei confronti di chi ricopre ruoli specifici legati ai dati (58%), come analisti e data scientist. Solo un’azienda su 10 offre questa formazione a chi lavora nelle risorse umane, nella finanza e nel marketing (rispettivamente 12%, 11% e 10%), nonostante più di due terzi dei dipendenti che operano in questi dipartimenti affermano che l’alfabetizzazione dei dati è già necessaria per svolgere il proprio ruolo attuale (rispettivamente 70%, 74% e 67%).

Servono più investimenti da parte delle imprese

Più di tre quarti (78%) dei dipendenti stanno invece investendo il proprio tempo e denaro (64%) per colmare il gap di competenze professionali necessarie per l’impresa del futuro – questi dichiarano di spendere una media di quasi 7 ore ogni mese e quasi 2.800 dollari all’anno. Il 35% dei dipendenti intervistati afferma di aver lasciato un posto di lavoro negli ultimi 12 mesi per insufficienti opportunità di aggiornamento e formazione.

“Il modo in cui interagiamo e utilizziamo i dati si è trasformato negli ultimi due anni e lo farà ancora di più man mano che ci muoviamo verso un posto di lavoro più intelligente e automatizzato – dice Paul Barth, Global Head of Data Literacy di Qlik –. Ma l’ambizione e gli investimenti negli utilizzi di dati all’avanguardia continuano ad essere maggiori rispetto all’impegno a colmare la crisi dell’alfabetizzazione dei dati. I leader delle aziende devono riconoscere che se vogliono che i loro dipendenti utilizzino i dati per un processo decisionale più consapevole e che, a loro volta, guidino risultati positivi, devono offrire loro supporto e opportunità di aggiornamento”.

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