Il bilancio europeo “deve basarsi su nuove risorse proprie e su una digital tax europea” a carico dei “colossi dell’economia digitale” che spostano i “profitti”. Lo ha affermato il ministro italiano dell’Economia e delle finanze, Roberto Gualtieri, in un’informativa alle commissioni Bilancio e Finanze del Senato sull’Ecofin. Lo riporta l’agenzia askanews. Gualtieri ha detto che l’Italia è impegnata a lavorare per l’introduzione della cosiddetta web tax come “risorsa comune per rafforzare il bilancio Ue”.
In realtà tutta l’Unione europea potrebbe rafforzare l’impegno e finalmente trovare un accordo sulla tassazione dei colossi del digitale. Secondo Paul Tang, politico olandese che siede al Parlamento europeo con il gruppo socialista, la conciliazione tra le posizioni finora divergenti tra i membri Ue potrebbe essere favorita dagli attriti con gli Stati Uniti. Il presidente Donald Trump ha da sempre attaccato i progetti europei sulla digital tax che secondo lui mira a colpire specificamente il business dei colossi tecnologici americani come Google, Facebook e Amazon, e ha minacciato contromisure anche forti.
L’Europa pronta a fare fronte comune
La Francia, l’Italia e l’Austria sono i paesi Ue in prima linea nel sostenere la necessità della web tax e hanno già implementato delle norme a livello nazionale. L’Ue nel suo insieme non è invece riuscita a trovare un compromesso tra posizioni divergenti, con Irlanda, Svezia, Danimarca e Finlandia che hanno detto no alla digital tax finché non ci sarà una decisione su scala internazionale in ambito Ocse che armonizzi la tassazione a livello globale.
“Trump riuscirà probabilmente a unire l’Europa su questo fronte”, ha affermato Tang alla testata americana Cnbc. “Le relazioni transatlantiche sono già traballanti” su temi come commercio, difesa, politica estera, trattamento dei dati personali. La tassazione dei colossi del digitale è un grande terreno di scontro “e non faciliterà le relazioni, per usare un eufemismo”, ha detto Tang. Secondo l’eurodeputato olandese l’Ue non ha molto da perdere nel perseguire la sua digital tax, visto che con gli Usa gli attriti sono ormai all’ordine del giorno.
“C’è una crescente consapevolezza in Europa che occorre agire da soli e Trump sta forzando l’Europa a fare da sé”, ha dichiarato Tang. “E non riguarda solo i settori del fisco e degli scambi commerciali, è una situazione generalizzata”.
La posizione dell’Italia
Anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, aveva rilanciato sulla digital tax come strumento chiave per il bilancio Ue. In occasione della sua comunicazione al Senato, in vista del vertice Ue sul bilancio di metà febbraio, Conte ha affermato che “Crediamo che sia necessario introdurre nuove forme di finanziamento capaci di assicurare il giusto contributo al benessere collettivo da parte delle grandi imprese del settore digitale, di chi sfrutta le differenze di tassazione negli Stati membri per evitare parte delle imposte, degli speculatori finanziari, dei grandi inquinatori”.
L’Italia, la Francia e la Spagna hanno già approvato le loro regole sulla tassazione sui guadagni delle grandi aziende che operano sul web, ma attenderanno la fine dell’anno per l’entrata in vigore, in attesa di un possibile accordo a livello Ocse.
L’Ocse: molti governi mondiali vareranno una web tax
L’Ue ha deciso di perseguire la soluzione “internazionale” cercando un accordo all’interno dell’Ocse entro la fine dell’anno. Ma se questo accordo non arriverà, la Commissione europea ha fatto sapere che cercherà di mettere a punto una digital tax europea.
In realtà la stessa Ocse (che a fine gennaio ha raggiunto un accordo cui partecipano 137 Paesi) ha riconosciuto, nel recente report “Tax and Fiscal Policy in Response to the Coronavirus Crisis”, che nella situazione critica generata dalla pandemia di coronavirus, diventa cruciale rispondere in maniera efficace alla sfide poste dalla digitalizzazione e garantire misure per la tassazione minima delle big tech. Secondo l’Ocse il forte impulso all’utilizzo di servizi su piattaforme digitali – basti pensare alla diffusione dello smart working e della didattica a distanza – possono rappresentare un nuovo stimolo a cercare un accordo a livello internazionale sulla web tax.
Dopo la crisi molti governi saranno chiamati a mettere in campo misure fiscali difficili, motivo per cui – prevede l’Ocse – aumenterà il numero di Paesi che chiederà la web tax. Non solo per aumentare le entrate fiscale ma anche per evitare disparità tra le imprese “tradizionali” – Pmi soprattutto – e le multinazionali che operano sul web.