Ibm esce allo scoperto sulla questione della web tax europea e lancia l’appello al governo americano: qualsiasi reazione avversa nei confronti dell’Europa potrebbe scatenare una guerra fiscale che porterebbe solo danni all’economia americana nel suo insieme. L’azienda americana è la prima fra le big tech a chiedere al presidente Donald Trump di non reagire contro l’iniziativa europea. Secondo quanto riportano fonti giornalistiche britanniche, una reazione con misure unilaterali e di ritorsione da parte degli Stati Uniti avrebbe come conseguenza, secondo Ibm, quella di danneggiare l’economia americana.
Mentre molte ziende tecnologiche americane supportano le indagini volute dal governo Usa, Ibm chiede invece che la Casa Bianca ritorni al tavolo delle trattative in sede Ocse, da dove si era ritirata a giugno, per trovare un accordo.
Il ritiro della delegazione Usa è stato motivato come una sospensione e non un addio definitivo. Il Rappresentante per il commercio degli Stati Uniti. Robert Lighthizer, lo scorso 17 giugno aveva infatti annunciato l’intenzione di voler sospendere i colloqui. Come riferito anche dalla portavoce del Tesoro, Monica Crowley, gli Usa hanno preso la decisione a fronte degli impegni per affrontare l’emergenza sanitaria. “I governi di tutto il mondo si concentrano sulla risposta alla pandemia di Covid-19 e sulla riapertura sicura delle loro economie”, ha spiegato Crowley.
L’annuncio ha fatto seguito alla lettera che il Segretario di Stato Steve Mnuchin ha inviato ai ministri dell’Economia di Italia, Francia, Spagna e Regno Unito e nella quale annunciava lo stop alle trattative. “Accelerare le negoziazioni ci distrarrebbe dall’affrontare questioni ben più importanti, come la ripresa economica”, ha scritto Mnuchin nella lettera.
La Commissione europea ha deciso di perseguire la soluzione “internazionale” cercando un accordo all’interno dell’Ocse entro la fine dell’anno. Ma se questo accordo non arriverà, Bruxelles si è detta pronta a mettere a punto una digital tax solo europea.
In realtà la stessa Ocse (che a fine gennaio ha raggiunto un accordo cui partecipano 137 Paesi per trovare la quadra entro fine 2020) ha riconosciuto, nel recente report “Tax and Fiscal Policy in Response to the Coronavirus Crisis”, che nella situazione critica generata dalla pandemia di coronavirus, diventa cruciale rispondere in maniera efficace alla sfide poste dalla digitalizzazione e garantire misure per la tassazione minima delle big tech. Secondo l’Ocse il forte impulso all’utilizzo di servizi su piattaforme digitali – basti pensare alla diffusione dello smart working e della didattica a distanza – possono rappresentare un nuovo stimolo a cercare un accordo a livello internazionale sulla web tax.
Questo tipo di tassazione secondo l’Ocse è destinata a essere richiesta da un numero sempre crescente di Paesi perché, dopo la crisi, in molti saranno chiamati a mettere in campo misure fiscali difficili che richiederanno una copertura inconsueta. Inoltre, molti Paesi si troveranno a dover ripensare la loro azione in questo settore non solo per aumentare le entrate fiscali ma anche per cercare di equilibrare o quantomeno correggere i principali squilibri tra le piccole imprese locali e tradizionali rispetto alle multinazionali che operano tramite il web.
In seno all’Ocse è operativa la “task force on digital economy” per esaminare le regole concernenti la distribuzione dei profitti delle imprese digitali con l’obiettivo di arrivare a un nuovo quadro condiviso di norme su dove vadano corrisposte le imposte e quale quota dei profitti possa essere tassata da ogni giurisdizione coinvolta.
Secondo obiettivo della task force è quello di architettare un nuovo sistema che assicuri che le multinazionali del digitale paghino una quota minima di imposte, al fine di proteggere gli Stati dal fenomeno della Base Erosion and Profit Shifting (Beps), ovvero l’insieme di strategie di natura fiscale seguite da alcune imprese multinazionali per erodere la base imponibile e dunque sottrarre imposte al fisco.
Conti oltre le attese, il titolo Ibm balza il Borsa
Le azioni Ibm sono aumentate fino al 6% nelle negoziazionidi lunedi 20 luglio dopo che la società ha registrato utili del secondo trimestre in rialzo rispetto alle attese degli analisti. L’utile per azione si attesta a 2,18 dollari rispetto ai 2,07 stimati e le revenue hanno toccato quota 18,12 miliardi di dollari contro i 17,72 previsti dal mercato.
Se è vero che l’utile per azione rettificato è diminuito del 31% su base annua nel trimestre e che le entrate sono diminuite del 5% – è il secondo trimestre consecutivo in calo per effetto del coronavirus – i risultati sono stati comunque migliori delle aspettative. L’utile netto della società ammonta a 1,36 miliardi, in calo del 46%, tuttavia, la società ha migliorato i margini lordi in tre delle sue cinque unità. Il margine di profitto lordo totale di Ibm è stato del 48%, in aumento dal 45,1% nel primo trimestre e dal 47% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente.
“La ripresa economica sembra essere più lunga e più protratta di quanto avremmo potuto sperare a marzo”, ha detto in teleconferenza agli analisti Arvind Krishna, che ha sostituito Ginni Rometty nel ruolo di ceo il 6 aprile scorso.
Ibm non ha aggiornato la guidance per il 2020.
Nel trimestre Ibm ha subito la “debolezza” dei clienti più piccoli, ha puntualizzato Jim Kavanaugh, Chief Financial Officer.
“Mentre ci siamo adattati rapidamente in tutto il mondo, abbiamo avuto interruzioni nelle prestazioni transazionali e riduzioni del volume”, ha affermato Kavanaugh. “Molti clienti hanno continuato a ritardare i progetti, rinviare gli acquisti e favorire l’opex rispetto alle spese in conto capitale. Questa pausa negli acquisti di grandi dimensioni e nella spesa discrezionale è stata più evidente nelle nostre licenze software e servizi orientati a progetti duraturi”.
I ricavi della categoria Global Technology Services sono stati pari a 6,32 miliardi, in calo di quasi l’8% su base annua e al di sopra del consensus. Le attività più lente di rivenditori, case automobilistiche, società di beni di consumo e clienti dei trasporti a causa di Covid-19 hanno danneggiato il segmento. Il segmento Cloud and Cognitive Software, che comprende Red Hat, ha generato ricavi per 5,75 miliardi. È aumentato del 3%. Le entrate di Red Hat sono state di 1,09 miliardi su base normalizzata, con un aumento del 17%. Il tasso di crescita di Red Hat è sceso dal 18% nel primo trimestre. L’unità Global Business Services ha registrato ricavi per 3,89 miliardi di dollari, in calo del 7% e leggermente superiori al consenso di 3,87 miliardi di dollari.