STRATEGIE

Digitale, appello di BusinessEurope: “Più fondi all’R&S nel bilancio Ue”

In vista della definzione degli obiettivi del programma 2021-2017 l’associazione chiede a Bruxelles di raddoppiare le risorse: “Bisogna rafforzare la competitività dell’Europa”

Pubblicato il 08 Gen 2018

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Più fondi all’R&S destinata al digitale. L’appello arriva da BusinessEurope in vista della definizione delle caratteristiche e degli obiettivi del bilancio Ue 2021-2027. “I leader europei dovrebbero spiegare come in diverse aree l’uso dei soldi dei contribuenti a livello europeo può comportare risparmi e una spesa più efficace: in aree come ricerca e innovazione è essenziale coordinare la spesa a livello europeo invece di un’azione isolata dei singoli Stati a livello nazionale”, spiega l’associazione delle imprese europee che evidenzia come sia “essenziale raddoppiare i fondi per ricerca, sviluppo e innovazione”.

Secondo BusinessEurope, “la logica dei benefici comuni derivanti dalla spesa Ue deve essere spiegata a livello nazionale: dichiarazioni su quanto denaro di uno Stato membro può essere ‘rimpatriato’ non sono costruttive. Le discussioni (sul bilancio) non devono diventare un fattore di divisione ma devono servire a rafforzare l’unità della Ue che è stata dimostrata negli ultimi mesi”. Secondo BusinessEurope “un mancato accordo sulla proposta di bilancio Ue entro metà 2019, prima delle elezioni europee, avrebbe gravi conseguenze: il prossimo bilancio pluriennale deve riflettere le future priorità Ue e concentrare gli sforzi migliorando la competitività dell’Unione europea” tra cui digitalizzazione, politica industriale e transizione energetica.

Sulla definizione delle risorse pesa l’addio della Gran Bretagna all’Unione Europea. A causa della Brexit al bilancio Ue 2021-2027 mancheranno ogni anno 10-11 miliardi. Se i Ventisette non decideranno di colmare il buco, il bilancio – l’ultimo è stato di 960 miliardi per 7 anni – si ridurrà proprio nel momento in cui la Ue dovrebbe far fronte a sfide globali nuove e costosissime: sicurezza interna ed esterna, immigrazione, crescente disuguaglianza sociale e territoriale, sostegno agli investimenti, anche al digitale. Colmare il buco potrebbe implicare teoricamente che la Germania aumenti il contributo nazionale di 5 miliardi, la Francia di 1,2 miliardi, l’Italia di circa 1 miliardo all’ anno.

“La Brexit complicherà il negoziato sul prossimo quadro finanziario dell’Ue, perché l’Europa deve ora trovare il modo di affrontare la perdita di un grande contribuente netto come il Regno Unito”, ha detto il  presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker aprendo la conferenza sul prossimo bilancio Ue. Juncker ha poi spiegato che per finanziarie tutte le sue politiche, il bilancio Ue deve essere “più grande dell’1% del Pil Ue”.

In questo scenario si colloca la proposta del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani che auspica un nuovo regime fiscale per i giganti del web a copertura del “buco” dovuto a Brexit.  La “manovra” avrebbe il vantaggio di esentare i Paesi dell’Unione dal versamento di nuovi fondi.

“Secondo uno studio – ricorda Tajani – fra il 2012 e il 2016 i giganti del web hanno di fatto eluso 69 miliardi di tasse in Europa. Se si considera il periodo di 7 anni del bilancio Ue, fanno circa 120 miliardi di euro che si potrebbero spendere per la lotta al terrorismo, all’immigrazione clandestina, in Africa, nel rafforzamento del digitale”.

Tajani è a favore dell’armonizzazione fiscale: “Basta con i paradisi fiscali ha detto -: andiamo a colpire tutte quelle transazioni speculative poco trasparenti che a volte significano anche riciclaggio. Bisogna aprire un dibattito e lo faccio con una provocazione: perché non raddoppiamo il bilancio Ue senza mettere le mani nelle tasche dei cittadini ma in quelle di chi non paga?”.

Secondo lo studio Software & Web Companies realizzato da R&S Mediobanca nel periodo 2012- 2016, i giganti del software e del web hanno eluso 46 miliardi di euro, che diventano 69 se si aggiunge Apple che genera la maggior parte del fatturato nell’hardware. Elusi 11,5 miliardi nel solo 2016.  Per realizzare l’analisi sono stati presi in considerazione i bilanci di 21 delle principali multinazionali del web rilevando che, lo scorso anno, quasi i due terzi dell’utile ante imposte è tassato in Paesi dove la pressione fiscale è inferiore rispetto al Paese in cui i gruppi hanno sede.

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