Digitale, è ora di fare politica industriale

Necessario identificare i settori strategici che favoriscano lo sviluppo dell’Ict, investire in un sistema educativo che sviluppi alte professionalità e creare una domanda pubblica qualificata che orienti l’innovazione. L’analisi di Giuseppe Iacono (Sgi)

Pubblicato il 02 Ott 2015

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Adesso che iniziano ad esserci dei segnali di crescita del Pil, che i programmi infrastrutturali previsti dal Piano Crescita Digitale iniziano a registrare i primi passi fondamentali (come per lo SPID), ecco che diventa sempre più necessario affrontare due temi a mio avviso centrali. Lo sviluppo delle condizioni per la domanda interna di infrastrutture e servizi digitali; la definizione di una politica industriale che determini priorità e scelte per lo sviluppo digitale nei diversi settori.
Lo sviluppo della domanda
Questo tema è essenzialmente legato allo sviluppo di competenze digitali nella popolazione. L’Italia ha tra le percentuali più basse in Europa per l’utilizzo di Internet, di e-commerce, di servizi di e-government ed è anche la nazione in cui la maggioranza della popolazione ha competenze digitali inferiori a quelle di base, ritenute indispensabili per l’esercizio pieno della cittadinanza in un mondo che richiede sempre più consapevolezza digitale. Come ho già evidenziato in altre occasioni, per l’Italia il tema dell’ignoranza digitale è strettamente connesso con un diffuso analfabetismo funzionale che interessa mediamente tutte le fasce di età, e in misura notevole anche i lavoratori.

L’intervento su questo fronte, molto ampio e complesso, richiede pertanto iniziative che abbiano impatto nel breve e nel medio termine, iniziative capillari e specifiche che si muovano però in un quadro organico indirizzato da una visione del futuro del Paese e che massimizzino le buone pratiche che già ci sono, anche se spesso basate su singole e specifiche eccellenze.
A questo serve l’iniziativa nazionale della Coalizione per le competenze digitali, promossa da AgID, che ha raggiunto le 120 adesioni, e in questo solco è utile e opportuno che si inquadrino anche le iniziative fondamentali dell’intero sistema educativo, in cui è centrale il ruolo del Miur.

D’altra parte, si ha l’impressione che l’attenzione e le risorse riservate al tema della domanda, da cui dipende anche il successo del Piano per la Banda Ultralarga, siano ben minori di quanto la situazione di partenza, l’urgenza e la priorità suggerirebbero. È chiaramente necessario un forte segnale di cambiamento.
Dato per assunto che lo sviluppo digitale è fondamentale per tutti i settori industriali, e che il settore ICT riveste di conseguenza una centralità difficilmente discutibile, definire una politica industriale significa anche identificare i settori strategici per la crescita digitale. In un mondo di competitività globale, la scelta dei settori strategici su cui investire diventa necessario e però questo finora non è stato fatto, puntando in massima parte su misure orizzontali. E quindi, scegliere che il settore ICT è strategico, significa di conseguenza indirizzare verso la costruzione di ecosistemi pubblico/industria/università/ricerca che lo favoriscano, un sistema educativo che sviluppi alte professionalità ICT, e una domanda pubblica qualificata che lo orienti. Ugualmente per il settore manifatturiero, dove la visione “Manufacturing 4.0” è possibile e ambiziosa, ma tutta da realizzare, o il turismo e l’agricoltura digitale, dove la scelta strategica comporta investimenti e programmi mirati per favorire la costruzione di nuovi modelli di alta innovazione. Anche qui, è necessario il salto di qualità, perché, parafrasando Lord Heseltine della Camera dei Lord del Regno Unito “se non scegliamo i settori strategici su cui investire, l’alternativa è di scegliere quelli da far fallire?”.

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