L'EDITORIALE

Digitale, le rilevazioni anacronistiche dell’Istat al tempo dei big data

Il rapporto “L’Innovazione nelle imprese” appena pubblicato scatta la fotografia fra il triennio 2016-2018. Ci si chiede a cosa serva in un’era in cui è possibile mappare tutto praticamente in tempo reale. E in cui la statistica dovrebbe avere il compito di “prevedere” trend e scenari per fornire strumenti concreti a supporto della digitalizzazione

Pubblicato il 18 Dic 2020

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L’Innovazione nelle imprese”: questo il titolo del report appena pubblicato dall’Istat. Interessante, si pensa, restando al titolo. Ma il report scatta la fotografia prendendo in considerazione il triennio 2016-2018 e restituisce dunque un quadro che non ha niente a che vedere con la situazione attuale. Men che meno in un settore, quello dell’innovazione, che viaggia ad una velocità superiore rispetto ad altri e le cui variabili sono talmente tante e talmente in evoluzione da pretendere elaborazioni molto più al passo coi tempi. E men che meno ai tempi del Covid in cui tutto si è stravolto e in cui l’accelerazione proprio sull’innovazione e sul digitale ha già ampiamente sparigliato carte e numeri. E stessa cosa vale anche per i report, diffusi di recente, che mappano l’utilizzo di Internet da parte delle famiglie italiane, la disponibilità di pc e tablet e quant’altro abbia a che fare con l’adozione tecnologica e che continuano a fare riferimento ad anni passati.

Non si capisce perché e come mai l’Istituto di Statistica, ossia la massima autorità nazionale nel campo, non riesca ad andare al passo coi tempi, a elaborare rilevazioni se non proprio in tempo reale quantomeno con timing sul trimestre antecedente a quello corrente, come fanno ad esempio l’Eurostat ed anche i principali centri studi di associazioni e società di analisi.

È vero che il campione preso in esame dall’Istat è ben più rilevante rispetto a quelli di molti altri istituti e che dunque il lavoro di elaborazione è più corposo nonché affidabile nel risultato. Ma è anche vero che ci sono fior fior di strumenti tecnologici in grado di fornire dati aggiornati inclusi quelli basati sull’analisi predittiva. Peraltro il report dell’Istat nemmeno restituisce certezze sul triennio 2016-2018: “si stima” è scritto in parecchi passaggi, dunque una stima sul passato che non rappresenta un dato reale di partenza, a patto che le certezze fissate alla fine di due anni fa (calcolando l’ultimo anno, il 2018) rappresentino una chiave di lettura utile all’oggi.

Insomma sarebbe ora di un salto nell’innovazione della statistica italiana per fornire al mercato ma anche alle pubbliche amministrazioni strumenti di analisi davvero utili al Paese nell’ottica dell’elaborazione di strategie future.

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