In Italia il digitale è già un punto di forza per le Pmi con fatturato sopra i 50 milioni di euro o numero dipendenti superiore a 250, ma non ancora per quelle “tipiche”: il 71% delle organizzazioni “Large” mostra, infatti, un profilo “convinto” o “avanzato”, rispetto al 50% delle Pmi in senso stretto. Il digitale è considerato come un costo solo dal 2% delle Large (rispetto al 16% delle Small), mentre per il 61% è invece lo strumento cardine per costruire il futuro dell’azienda (rispetto al 35% delle Small). In entrambe le categorie, però, risulta ancora carente l’attività di formazione svolta per i dipendenti e per il management.
A dirlo sono i risultati dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi della School of Management del Politecnico di Milano, presentati in occasione del convegno “Innovazione digitale nelle Pmi: uno, nessuno…ecosistema!”.
“Circa 250 mila Pmi sono in grado di produrre intorno al 40% del fatturato nazionale e di assorbire oltre il 30% della forza lavoro: numeri che fanno comprendere non solo l’importanza del ruolo giocato dalle Pmi in Italia ma anche l’attenzione che il Paese deve loro dedicare per salvaguardare questo patrimonio economico e sociale”, spiega Claudio Rorato, direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi. “Prima di parlare dei singoli, però, dobbiamo parlare di responsabilità del sistema: troppo spesso sentiamo parlare di arretratezza delle imprese, di scarsa cultura digitale degli imprenditori, di visioni poco evolute. L’imprenditore, per la sua stessa estrazione, prevalentemente tecnica, si concentra più sul prodotto che sulla gestione e la programmazione, più sulla quotidianità che sulla pianificazione e la gestione del cambiamento. Ecco, allora, che le associazioni di categoria, le filiere, le supply chain, gli istituti finanziari, la classe politica, la pubblica amministrazione, gli hub territoriali per lo sviluppo digitale devono fare la loro parte per creare le condizioni che permettano di fare impresa. Solo a quel punto, le responsabilità individuali di fare o non fare potranno essere attribuite alle singole organizzazioni.”
Pmi e Pmi Large: diversi livelli di maturità
L’individuazione del segmento delle Pmi Large ha sia l’obiettivo di esaminare un gruppo di mercato, strategico, ma ancora troppo poco approfondito, e sia di comprendere lo stato di digitalizzazione del gradino dimensionale successivo a quello delle medie imprese, al quale queste ultime potrebbero guardare in chiave evolutiva.
Dalle analisi risulta che il digitale sia un punto di forza delle Pmi Large: come anticipato, il 71% mostra, infatti, un profilo convinto o avanzato, rispetto al 50% delle Pmi. Si tratta di imprese che stanno cercando di riorganizzare i processi con l’ausilio del digitale e che dispongono internamente di competenze per l’innovazione. Solo il 29% delle Pmi Large, invece, può essere ascritto alle categorie degli “analogici” e dei “timidi” (rispetto al 50% delle Pmi); si tratta di imprese ancora restie ad abbracciare la transizione digitale, mancando soprattutto di un approccio olistico e di una visione strategica di lungo termine.
Vi è una forte percezione dei vantaggi derivanti dal digitale: solamente il 2% delle Ibride lo considera come un costo (rispetto al 16% delle Pmi) mentre il 61% lo considera lo strumento per costruire il futuro dell’azienda (rispetto al 35% delle Pmi). Il digitale costituisce un aspetto culturale di queste aziende, nelle quali esiste una maggiore consapevolezza digitale. È, però, ancora carente l’attività di formazione svolta per i dipendenti e per il management.
Nel segmento delle Pmi Large, emerge, nel complesso, una maggiore attenzione per le tecnologie di frontiera, anche se i tassi di adozione non sono così interessanti da poter parlare di un fenomeno diffuso.
La transizione digitale è accompagnata da una transizione green. Il 58 % delle Pmi Large, infatti, ha adottato o è interessato ad adottare soluzioni per ottenere una riduzione dell’impatto energetico, il 48%, invece, è interessato a rating Esg, mentre il 61% ha introdotto o si propone di introdurre pratiche di Corporate Social Responsibility.
I “trigger” dell’innovazione nell’ecosistema italiano
Troppo spesso le Pmi approcciano in modo destrutturato il proprio percorso di innovazione, facendosi guidare più dall’esigenza temporanea di cambiamento o dalle opportunità di finanziamento una tantum offerti dalle diverse istituzioni. Esistono però 4 diverse tipologie di enti nati con la missione di guidare e affiancare le Pmi in un percorso solido di trasformazione digitale.
I Digital Innovation Hub sono 23 in Italia e svolgono il ruolo di promotori dell’evoluzione digitale, attraverso specifiche attività di sensibilizzazione e formazione sulle nuove tecnologie e sulle opportunità esistenti.
I Punti Impresa Digitale sono strutture localizzate presso le Camere di commercio. Nati nel 2016, sono oggi 88, punto di riferimento territoriale per attività di formazione e informazione, sia a livello di policy/incentivi/opportunità attivate dal Governo, sia per approfondimenti su specifiche tecnologie e loro applicazioni.
L’Innovation Manager, figura introdotta con la Legge di bilancio del 2019, rappresenta un punto di contatto tra le Pmi e gli enti pubblici a supporto dei processi di innovazione digitale, fungendo spesso da tramite per l’erogazione di servizi tra gli Hub di innovazione e le Pmi stesse. Oggi sono circa 8mila gli Innovation Manager iscritti alle liste Mise, anche se in realtà non tutti operativi su progetti di innovazione.
I Competence Center costituiscono l’infrastruttura «hard» della rete, a supporto del trasferimento tecnologico in chiave Industria 4.0. I Competence Center presenti sul territorio italiano, nati tra il 2018 e il 2020, sono 8, ciascuno specializzato su ambiti tecnologici specifici e complementari. Rappresentano l’ultimo ente a cui approdano le imprese nel loro tragitto di innovazione, e si concentrano sulle attività più collegate al lancio e accelerazione di progetti innovativi e di sviluppo, attraverso la sperimentazione pratica delle tecnologie (con live demo e test before invest), la produzione “in vivo” degli strumenti di Industria 4.0 e la raccolta di best practices per l’implementazione della trasformazione tecnologica.
Il Contest Pmi Awards 2022
Nel corso del Convegno, sono state premiate le aziende vincitrici del Contest Pmi Awards 2022, il Premio riconoscimento dedicato alle Pmi che si sono distinte per un progetto nell’ambito dell’innovazione e della trasformazione digitale.
Tra le numerose candidature pervenute nel corso dell’anno, le finaliste arrivate a contendersi il riconoscimento sono state otto: Arredo Inox Srl (Crotone), Bcn Concerie (Pisa), Emme Technology (Monza e Brianza), Fbf (Napoli), Löwengrube (Firenze), Nastrotex-Cufra (Bergamo), Pelletterie Bianchi e Nardi (Firenze), e Rta (Pavia).
La giuria di esperti, sulla base dei criteri di originalità del progetto, rilevanza e misurabilità dei benefici, complessità del progetto e approccio strategico, ha decretato vincitori della prima edizione Arredo Inox, Bcn Concerie e Rta. La prima si occupa di sviluppo e produzione di apparecchiature per il trattamento dei cibi. Il progetto premiato “Por – Produco, Ottimizzo, Risparmio”, ha permesso di aumentare la capacità produttiva e di ridurre i costi di produzione, attraverso nuovi macchinari e automatizzati di software Mes.
Bcn Concerie opera nel settore della preparazione e concia di cuoio e pelle. Il progetto “Microinnovazione 20+”, grazie alla creazione di un sistema informatico basato sulle tecnologie più evolute, ha permesso di ottimizzare i tempi di produzione e di incrementare la produttività.
Rta è infine specializzata nelle soluzioni di motion control. Il progetto “Revisione processi e digitalizzazione”, attraverso una migliore gestione dei dati e la revisione dei processi aziendali, ha permesso di migliorare l’efficienza e la digitalizzazione dei processi lavorativi.
L’Osservatorio American Express e Bva Doxa: serve supporto alle Pmi
Il nuovo Osservatorio di American Express e Bva Doxa sulla digitalizzazione delle pmi italiane evidenzia come, dopo la spinta degli ultimi 2 anni, sia ora necessario fornire alle piccole e medie imprese un ulteriore supporto per completare l’evoluzione che hanno iniziato.
Ecco alcune evidenze emerse. Accanto alla massiccia adozione dello smart working (54% delle aziende), il 52% delle aziende ha rivisto anche i processi interni finalizzati alla digital transformation e il 98% ha almeno un canale di comunicazione digitale come un sito o un’app, ma solo il 17% fa ricorso al commercio elettronico. Il 60% delle imprese ha dichiarato di allocare meno di 10.000 euro l’anno per le dotazioni digitali (escludendo le spese per l’hardware), da 10.000 a 20.000 euro nel 30% dei casi. Il 70% di questi investimenti in tecnologia vengono però dedicati alla gestione digitalizzata dei documenti e ai social media per il 62%, quindi in generale a voci “necessarie” più che strategiche
Quasi un’azienda su due (44%) ha invece fatto investimenti in campagne digital e per oltre due terzi (36%) si tratta di un’esperienza recente, fatta negli ultimi 2 anni, mentre un ulteriore 13% è interessato a fare comunicazione digital
Per accelerare la digital transformation è fondamentale incrementare gli investimenti dedicati alla tecnologia e supportare le imprese per accedere a tecnologie, servizi e competenze digitali. American Express vuole porsi come abilitatore di questa trasformazione, fornendo anche attraverso piattaforme digitali strumenti e servizi a valore aggiunto, in particolare consulenza e formazione e un supporto alle strategie di crescita, per aiutare le aziende a digitalizzarsi, e quindi a sviluppare il proprio business in Italia, ma anche all’estero