66 miliardi o giù di lì: questa la cifra, decisamente consistente, destinata alla digitalizzazione nell’ambito della versione “aggiornata” della bozza del Recovery Plan, pari al 31,4% del totale dele risorse disponibili pari a 147 miliardi. Al di là delle indicazioni di massima – banda ultralarga e il cappello “digital” messo qui e lì alla rinfusa – non è ancora chiaro su quali priorità si stia puntando, quali siano i progetti che dovranno partire per primi, chi li gestirà e come.
La partita è grossa e anche se c’è un ministro per il Digitale – Paola Pisano – è altrettanto vero che il ministro non è un ministero e che il ministro in questione è senza “portafoglio”. Ma ancor di più, considerando che il digitale è trasversale a qualsiasi settore dell’economia – dalla sanità ai trasporti, dall’ambiente alle infrastrutture, dall’istruzione alla cultura – si fa urgente la necessità di creare un team interministeriale o interparlamentare che dir si voglia, che metta insieme le migliori competenze e si attivi per evitare la frammentazione di progetti, la mancanza di “interoperabilità”, e persino il rischio di disperdere i fondi stessi attraverso la duplicazione di iniziative.
Le inefficienze si sono già toccate ampiamente con mano nel corso degli anni: il “riuso” dei servizi ha funzionato poco e male proprio per la mancanza di una centralità di governance e operativa. Ancora oggi ci sono decine di piattaforme pubbliche che non si parlano fra loro, milioni di dati inutilizzabili a causa di incompatibilità dei software regionali. Per non parlare dell’annoso dibattito sulla newco delle reti, ma realizzata e chissà se se ne verrà davvero a capo nei tempi auspicati, fra il dire delle iniziative e il fare che si impantana nelle carte bollate, nei ricorsi, nelle polemiche, nelle posizioni pro e contro anche in seno alla maggioranza di governo.
Ci si augura che la stagione delle bozze si esaurisca al più presto e che l’Europa non abbia da ridire sul Piano che l’Italia presenterà per avere il via libera all’accesso ai fondi del Next generation Eu. Dal generalismo bisognerà presto passare al particolarismo. E soprattutto concentrarsi su progetti davvero in grado di mettere in atto la trasformazione digitale delle aziende e della società al di là degli sgravi fiscali e dei bonus.