Dopo Etno, il forum delle principali Telco Ue presieduto da Luigi Gambardella, anche DigitalEurope si tuffa nella mischia negoziale dalla quale il prossimo dicembre a Dubai dovrebbe scaturire la prima revisione in un quarto di secolo degli Accordi Internazionali in materia di telecomunicazioni (ITRs). In un paper appena sfornato a Bruxelles, la voce europea dell’industria del settore Telecomunicazioni, Informatica ed Elettronica di Consumo raduna suggerimenti e perplessità in vista del vertice internazionale che si terrà negli Emirati Arabi sotto gli auspici dell’Itu, il braccio dell’Onu che sovraintende al vasto panorama delle Tlc.
Prima parola d’ordine del documento: “concorrenza”. Ovvero uno dei “principi guida che hanno trasformato la nostra industria”, scrive l’associazione europea, e che “deve essere reso esplicito” nella nuova versione degli accordi, andando a colmare un’omissione ormai obsoleta.
Come ragiona Cristiano Radaelli, presidente di Anitec e membro italiano del board di DigitalEurope, la liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni “ha rappresentato un ruolo essenziale di stimolo per lo sviluppo di nuovi servizi e nuove applicazioni”. In questo quadro “il nostro auspicio è che venga posta più attenzione alle dinamiche della domanda”. A maggior ragione per quel riguarda internet. Un settore allo sviluppo del quale anche i governi sono chiamati a fare la loro parte.
DigitalEurope auspica, non a caso, che la versione rivista degl’ITRs integri una raccomandazione rivolta a tutti gli stati affinché “continuino a promuovere investimenti nelle infrastrutture di banda larga”. Per Radaelli, “la diffusione di nuovi device e lo sviluppo di nuove reti sono la premessa indispensabile per il definitivo decollo dell’economia digitale, che permetta sia di migliorare l’economia “tradizionale”, facilitando la circolazione di prodotti e servizi, sia di sviluppare l’economia “nativa internet”, basata su servizi disponibili esclusivamente in rete”. E, secondo il presidente di Anitec, “in questo senso un ruolo di volano sarà giocato dagli investimenti per la digitalizzazione delle imprese e delle amministrazioni pubbliche, ma il primo mattone è costituito dalla realizzazione delle infrastrutture abilitanti”.
Internet, a ben vedere, è il vero tema forte della conferenza di Dubai. DigitalEurope non ha dubbi: l’esplosione della rete è il risultato “di una governance trasparente”, “decentralizzata” e “multi-stakeholder”, ossia plurale. E “non vediamo alcun interesse nel modificare questo approccio”, fanno sapere dall’associazione europea, così entrando a piè pari nella controversia più scottante delle trattative in corso. Quella che da una parte fa serrare i ranghi a chi, come l’industria e la maggior parte degli stati occidentali, insiste per confermare fiducia all’attuale struttura regolamentare della World wide web: aperta, informale e diluita tra più organismi pubblici e privati. Mentre, sulla sponda opposta, si dimena una fronda sempre più facinorosa di attori – regimi (semi) autoritari come Cina, Iran e via enumerando -, i quali premono affinché buona parte di queste competenze e poteri siano accentrati nelle mani dell’Itu, per giunta convertendo la natura degli accordi ITRs da volontaria a coercitiva.
Da un lato, è la filosofia di DigitalEurope, appare assai difficile immaginare un’agenzia Onu come l’Itu che gestisca in modo efficace ed efficiente le risorse e le regole della rete. Il modello multi-stakeholder e un sistema basato su accordi commerciali, da questo punto di vista, possiedono caratteristiche di flessibilità e competenza che un’organizzazione internazionale, per quanto coadiuvata da esperti, non può eguagliare. Allo stesso tempo, la rete di internet è divenuta nel tempo un formidabile alleato dei processi democratici e della libertà di espressione, spesso proprio contro la volontà dei governi: perché dunque, si chiede l’associazione, provare a correggere un meccanismo che funziona e anche bene?
Il documento di DigitalEurope, nello specifico, esprime scetticismo su tre nodi attualmente allo studio dei negoziatori: le proposte che perorano standard tecnici centralizzati e più stringenti (“aumentano il fardello burocratico”), quelle che suggeriscono un cambiamento del sistema di interconnessione IP (“incrementerebbero i costi per l’utente finale”), infine la possibilità che la fattispecie del trattato venga estesa anche alla spinosa questione della cyber-security (“gli ITRs non sono la sede adeguata per affrontare il problema”). Il responso dell’associazione è in questo caso netto: “i partecipanti alla Conferenza di Dubai dovrebbero guardare a come migliorare gli accordi piuttosto che espanderne il mandato”.