“Con la sentenza della Corte di Giustizia Europea si stabilisce un importante principio sulla competenza territoriale nei confronti di giganti come Google”. Così Giuseppe Busia, Segretario Generale del Garante Privacy, intervenendo il 18 maggio ai microfoni di Presi per il Web, trasmissione di Radio Radicale.
“Per quello che riguarda gli effetti immediati della sentenza – ha spiegato Busia – noi siamo il soggetto che, nel caso in cui Google o altri motori di ricerca non soddisfino le richieste di rettifica, cancellazione o aggiornamento dei dati che arrivano dagli utenti, potrà essere interpellato per far sì che le norme vengano rispettate. La nostra competenza deriva dal fatto che la Corte abbia riconosciuto come, nonostante la compagnia abbia sede al di fuori dell’Unione Europea, essa abbia una divisione nazionale che si occupa della vendita di pubblicità ai soggetti economici italiani, e che questa attività sia strettamente legata a quella del motore di ricerca. In Italia, così come in tutti i Paesi dell’Unione, è questo un dato sufficiente a obbligare Google a rispettare le leggi di ogni Stato membro nel quale opera”.
E sul ruolo svolto dal Garante durante il percorso che ha portato alla decisione della Corte di Giustizia, Busia ha dichiarato: “Noi a suo tempo abbiamo mandato una memoria e l’avvocatura dello Stato, e quindi il Governo, l’ha fatta sua, e quindi come nella sentenza è dichiarato chiaramente noi siamo di fianco agli spagnoli nel sostenere le tesi che poi la Corte ha certificato nella sentenza”.
Per Alberto Gambino, ordinario di Diritto Privato presso l’Università Europea di Roma “la richiesta di rimozione dei link ai motori di ricerca si configura come una tutela estrema e subordinata, andrebbe in realtà aggredita la fonte originaria dell’informazione”.
“Occorre tenere in considerazione il caso specifico dal quale ha avuto origine la sentenza della Corte – ha proseguito Gambino – perché si tratta di una particolare condizione per la quale, per motivi legali, era impossibile la rimozione di quanto scritto su un sito che aveva il dovere di dare, e conservare, informazioni di carattere patrimoniale sul soggetto che ha adito i tribunali spagnoli. Tuttavia, in una dinamica più generale la deindicizzazione pone nuove criticità. In primo luogo, si conferisce un indubbio potere ai motori di ricerca con un’ampia discrezionalità che qualcuno ha giustamente definito ‘para-costituzionale’, perché non ci sono automatismi e quindi essi dovranno valutare se dare seguito o no alle richieste di rimozione sulla base dei principi di pertinenza delle informazioni, adeguatezza, eccessività e tempo. In secondo luogo, anche qualora la pagina in questione venisse deindicizzata da tutti i motori di ricerca ci ritroveremmo con archivi che continuerebbero a mostrare pubblicamente le informazioni in spazi che finiscono invece per essere ancor meno trasparenti. È per questo – ha concluso il giurista – che in una fase applicativa necessariamente va aggredita la pagina originaria che contiene i dati, e la rimozione dei link dai search engine si configura come una tutela estrema e subordinata”.
“C’è tuttavia – ha spiegato Gambino – una possibilità senz’altro positiva in riferimento alla tutela delle fragilità, e per esse intendo situazioni in cui, ad esempio, gli adolescenti finiscono vittime di stalking o episodi di bullismo che spesso lasciano tracce di conversazioni molto imbarazzanti all’interno dei vari social network, soprattutto Ask.fm, conversazioni che spesso vengono indicizzate dai search. Nel momento in cui eseguo una ricerca tramite nome e cognome di ragazze e ragazzi posso incappare in una serie di risultati che mi forniscono un identikit degli stessi che si compone spesso proprio di quei frammenti di informazione che invece in questo nuovo scenario possono essere rimossi evitando così di cagionare un danno alle persone coinvolte”.
Innocenzo Genna, esperto di regolamentazione e policy europee nei settori di Internet e delle telecomunicazioni ha evidenziato: “È probabile che la sentenza sia stata espressa alla luce di un sistema normativo che non rispecchia più la realtà attuale e potrebbe quindi essere uno stimolo a rivedere la Direttiva in materia”.