“Il gestore di un motore di ricerca su internet è responsabile del trattamento effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi”. Sono trascorsi poco più di due mesi (era il 13 maggio) dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, di fatto, ha dotato gli utenti del vecchio continente della possibilità di richiedere a Google la rimozione dai risultati di ricerca di link per quanto concerne il diritto all’oblio (la Corte si era pronunciata su un caso inerente Google in Spagna: nel 2009 l’avvocato Mario Costeja si accorse che, cercando sul motore di ricerca il suo nome, veniva fuori una nota legale del 1998 pubblicata sul portale del quotidiano La Vanguardia che elencava i suoi debiti dell’epoca).
A questo proposito, poche ore fa il gruppo di lavoro dei Garanti Privacy europei “Articolo 29” si è riunito a Bruxelles per discutere proprio sulle “linee guida coordinate e coerenti sulla gestione dei reclami degli individui che possono essere presentate alle autorità in caso di risposte negative pervenute dai motori di ricerca per la richiesta di rimozione dall’indicizzazione”. Al tavolo con le Authority anche i rappresentanti di Bing (il motore di ricerca di Microsoft) e Yahoo e, ovviamente, dello stesso Google (che dal giorno della sentenza ha raccolto oltre 70 mila richieste). Il vertice ha visto confermati alcuni dubbi dei Garanti Privacy europei in merito alla nuova “condotta” dell’azienda di Mountain View che raccoglie il 90% delle ricerche in Europa e che, in seguito alla decisione dell’Ue, ha messo a disposizione degli utenti un modulo da compilare online per chiedere la cancellazione dei link “indesiderati”, invitando gli stessi utenti ad esprimere un’opinione sulla sentenza e annunciando la creazione di un comitato consultivo di esperti in grado essere di supporto nel valutare le richieste di rimozione.
Tra le perplessità, quella legata al fatto che Google vuole ristringere la rimozione esclusivamente alle versioni europee del suo motore di ricerca – come google.co.uk e google.fr –, una soluzione che di fatto non realizzerebbe in toto il diritto all’oblio. Un altro problema riguarda la decisione di Google di informare i proprietari dei portali in merito alla rimozione dai risultati (il noto motore di ricerca avvisa già i proprietari di siti rimossi dai risultati di ricerca a causa di violazioni del copyright); è quanto avvenuto tre settimane fa, quando un noto giornalista della Bbc, Robert Peston, ha aspramente criticato Google – dunque scrivendone pubblicamente – per aver deciso di eliminare dal suo archivio (dopo avviso) un post dell’editorialista risalente all’ottobre 2007 in cui muoveva delle critiche nei confronti del banchiere di Wall Street Stanley O’Neal. Accuse sono giunte anche dal Guardian, secondo cui i link di suoi sei articoli sarebbero stati rimossi dai risultati di ricerca (per poi, secondo quanto riportato dalla Reuters e dalla Financial Times, venire in parte riattivati).