PUNTI DI VISTA

Domini Internet, liberi ma “confusi”

La liberalizzazione voluta dall’Icann presenta notevoli vantaggi, ma anche il rischio di confusione “giurisprudenziale”

Pubblicato il 01 Lug 2012

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L’Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) ha da poco approvato la liberalizzazione dei domini personalizzati consentendo di poter richiedere la registrazione come dominio di 1° livello del proprio marchio, di una parola di interesse strategico, etc. Ai tradizionali generic top level domain names “.com”, “.net” si affiancheranno quelli costituiti da parole scelte dal registrante.
La novità presenta molti vantaggi per chi procede a tale registrazione: il brand viene meglio valorizzato e protetto online, avendo il registrante il totale controllo amministrativo di tutti i sub domini, con conseguente aumento della sicurezza delle attività svolte sul web. Vi sono anche obblighi e responsabilità che gravano sul registrante per la gestione, la regolamentazione ed il controllo del proprio sistema di registrazione dei nomi a dominio con suffisso personalizzato. Le implicazioni giuridiche più interessanti riguardano la gestione dei conflitti tra nomi a dominio e altri segni distintivi.
I nomi a dominio, oltre ad essere strumenti di indirizzo del Web, sono segni distintivi che identificano e contraddistinguono il sito mediante cui l’impresa offre i propri prodotti e servizi.

Hanno 2 funzioni, indipendenti, ma connesse: la prima, di indirizzo elettronico, consente all’utente di accedere al sito dallo stesso dominio contrassegnato; la seconda, di segno distintivo, ha lo scopo di invogliare gli utenti a visitare il sito stesso.
Un nome a dominio nasce dalla combinazione di 3 elementi: al prefisso www si aggiunge il dominio di secondo livello, che ne costituisce il cuore e svolge la funzione strettamente distintiva, ed il dominio di primo livello, costituito dall’abbreviazione dopo il punto.

In base al criterio di priorità temporale chiunque può registrare come proprio nome a dominio un marchio altrui escludendo ogni altro soggetto dall’uso dello stesso sul web. Il nome a dominio così assegnato può interferire con i marchi o con qualsiasi altro segno distintivo altrui già esistente. Qualora venga adottato un segno come nome a dominio di un sito web identico o simile a un marchio altrui e qualora vi sia identità o affinità tra l’attività economica del titolare del nome a dominio e i prodotti e servizi per cui il marchio altrui è stato prima registrato si verifica un conflitto in genere equiparato a una violazione di marchio o altro segno distintivo altrui.

La parte caratterizzante di un nome a dominio è costituita dal second level domain name ed è solo con riferimento a questo elemento che va valutata la confondibilità del nome a dominio rispetto ad un marchio anteriore. La giurisprudenza ha finora chiarito che il rischio di confusione non è escluso dalla presenza di top level domain name diversi quando il confronto debba essere condotto fra nomi a dominio in quanto si tratta di variazione del tutto marginale ed ha rilevanza solo organizzativa. In conseguenza, le uniche differenziazioni rappresentate dai suffissi .com, etc. corrispondenti ai top level domain name non sono sufficienti ad escludere la confondibilità dei contrapposti segni distintivi.

Un principio che rischia di essere sovvertito dalla recente liberalizzazione. Ora anche i top level domain names, non più solo i second level domain names, potendo essere costituiti anche dai marchi e dai segni distintivi dell’impresa registrante, avranno autonoma rilevanza nel giudizio sulla confondibilità che verrà condotto, non più considerando soltanto il second level domain name come parte caratterizzante e distintiva del nome a dominio, ma anche il top level domain name.

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