Il raddoppio di H-Farm. Una scuola hi-tech. E, soprattutto, una nuova parola d’ordine: start up più vicine all’industria, e al territorio. Riccardo Donadon è in navigazione, per usare una metafora ispirata alla barca in bella vista nella campagna di Ca’ Tron, provincia di Treviso dove ha “piantato” il suo incubatore: è quella utilizzata da Alex Bellini per la traversata solitaria dell’Atlantico. Con il navigatore estremo Donadon dialoga in un libro, appena pubblicato da Marsilio e curato da Paolo Costa. Titolo: “L’avventura e l’impresa”, perché fare impresa non è facile in Italia. È un’avventura, specie quando si vogliono produrre innovazione e start up com’è da otto anni negli obiettivi della Human Farm veneta.
A Donadon, che è anche presidente di Italia Start Up, abbiamo chiesto di raccontarci i cantieri aperti, fuori e dentro H-Farm. “C’è un grande movimento sul mercato, le start up aumentano e cresce l’attenzione nei loro confronti. Stiamo vivendo una bella fase, ma dobbiamo stare attenti a costruire solide basi per il futuro. Altrimenti rischiamo di far solo confusione”.
Pensa al proliferare di incubatori, acceleratori e simili che stanno nascendo a sostegno delle start up?
Ci aspettavamo una proliferazione del genere. Dopo la sbornia di nomi e progetti, che comunque sta mettendo in campo tanta energia, si stabilizzeranno i soggetti più professionali. Dovranno certamente specializzarsi. Ma avranno sempre un problema: se non interviene qualche soggetto istituzionale non si svilupperanno attività economicamente sostenibili.
Perché?
Chi si sta lanciando sul mercato lo fa per supportare un sistema che ha bisogno di essere sostenuto ma non è abbastanza capitalizzato per dare ritorno economico a chi investe. Se avessimo un exit di valore ogni anno, sarebbe diverso. Ma non è ancora così e siamo davanti a un cane che si morde la coda.
Che cosa vuol dire?
Se hai exit importanti con plusvalenze importanti, arriva l’interesse di soggetti industriali e finanziari. E il flusso si alimenta velocemente. Se non ci sono operazioni di successo, non parte il ciclo. Le probabilità che aumentino le storie di successo sono in crescita, grazie al moltiplicarsi delle iniziative imprenditoriali. Ma il sistema non è ancora strutturato.
Cosa manca?
Manca un venture capital forte, non abbiamo i player IT o le grandi aziende che dicano: io ho bisogno di te per fare innovazione, come succede negli Usa dove gli incubatori raccolgono milioni di dollari da Nike, Microsot o Google. In Italia devi trovare chi come noi investe milioni e continua a farlo perché i soci ci credono.
E non sembrano preoccupati dalle perdite.
Noi siamo un venture-incubator e seguiamo due modelli. Facciamo l’investitore ma essendo una Spa e non un fondo dobbiamo mettere a perdita gli investimenti nelle start up; facciamo attività di accelerazione, ospitando startup che restituiscono parte dei soldi per i servizi ricevuti.
Quali sono i nuovi investimenti di H-Farm?
Circa 12 milioni per creare un’altra farm e una piattaforma di formazione. Il primo sarà uno spazio dedicato all’innovazione collegata all’industria e al territorio: non finanzieremo più progetti che possano nascere in qualsiasi altra parte del mondo. I lavori sono già cominciati ed entro il primo semestre del 2015 sarà tutto pronto.
La piattaforma di formazione cos’è?
Stiamo ragionando su una scuola professionale in lingua inglese per sviluppare competenze tecniche. Un college dove fondere tecnologia e capacità di fare. Anche questo cantiere è stato aperto a novembre e a settembre 2014 saremo pronti. Stiamo cercando un partner che ci affianchi in questo “numero zero” che speriamo possa essere replicabile altrove e possa diventare attraente magari per un grande operatore IT che voglia lavorare con noi perché avremo 350 ragazzi formati e con tanta voglia di fare.