L'ANALISI

Doppia sfida per il Gdpr: tutelare le libertà e l’economia di mercato

Il principio di autodeterminazione può dare indicazione delle reali scelte di privacy degli utenti e aprire nuovi scenari anche per l’uso dei dati da parte delle imprese. L’analisi di Giovanni Crea, Istituto italiano per la privacy e la valorizzazione dei dati e Università Europea di Roma

Pubblicato il 25 Gen 2018

Giovanni Crea

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Lo sviluppo dell’economia digitale e la protezione dei dati personali sono obiettivi con riguardo ai quali la Commissione europea, nell’intento di trovare un equilibrio, ha definito un nuovo quadro normativo che, con l’adozione del regolamento 679/2016, è destinato a sostituire la direttiva 95/46/CE non più adeguata alla trasformazione digitale. Al riguardo, sappiamo che le istanze del mercato e le libertà fondamentali degli interessati sono decisamente divergenti, e che il loro contemperamento può ben essere ricondotto al paradosso politico delle “convergenze parallele”.

Dal canto suo, il predetto regolamento, all’art. 6, paragrafo 1, lett. f), annovera tra i criteri di liceità del trattamento il “legittimo interesse” del titolare del trattamento, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato che richiedono la protezione dei dati personali, in particolare se l’interessato è un minore (norma sostanzialmente analoga a quella prevista dalla direttiva 95/46/CE, all’articolo 7, lett. f) ). Nel riportare la formulazione della norma all’ambito economico, il legittimo interesse può rinvenirsi anche nella libertà dell’iniziativa economica – la “libertà d’impresa”, anch’essa riconosciuta dalla Carta dei diritti fondamentali (art. 16) – che potrebbe esplicarsi attraverso il trattamento di dati personali, senza richiedere il preventivo consenso dell’interessato.

In questa prospettiva, la necessità del trattamento è spiegata dalle esigenze di sopravvivenza del suo stesso titolare che, in tal modo, giustificano un’attività economica condotta su dati «comuni» (vale a dire, dati diversi dalle “categorie particolari di dati personali” e dai “dati personali relativi a condanne penali e reati”, indicati rispettivamente agli articoli 9 e 10 del regolamento generale), aventi un contenuto economico, nella misura in cui non implichi un rischio per gli interessati (dignità, identità, reputazione, discriminazione; in tal senso, cfr. R. Motroni, Il Regolamento (UE) 2016/679 tra soggetti giuridici del mercato ed oggetto economico, in federalismi.it, n. 13, 2017).

Una tale norma potrebbe costituire il fondamento giuridico per le attività economiche proprie di un mercato a due versanti – come quello dei servizi e dei contenuti offerti nella grande rete – in cui, alla luce di transazioni di natura non economica sul versante degli utenti, la remunerazione dei provider si realizza con le inserzioni di pubblicità di natura comportamentale (Si veda, al riguardo, cfr. Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Indagine conoscitiva sul settore dei servizi internet e sulla pubblicità online, Delibera 19/14/CONS, allegato A); una tale ipotesi appare tanto più percorribile se la predetta norma è affiancata da meccanismi che consentono agli internet user di opporsi al trattamento. Il “legittimo interesse” può altresì rappresentare il riferimento giuridico per quei fenomeni economici – come l’economia fondata sui dati (data economy) – che stanno delineando uno scenario in cui il trattamento dei dati si identifica con l’attività economica principale delle imprese (core activity) o comunque è una parte essenziale dell’attività economica senza la quale la stessa non potrebbe essere svolta. Condizioni, queste, in cui può ben dirsi che la finalità del trattamento è la prestazione del servizio, e che la stessa domanda, con la sua manifestazione, integra il consenso al trattamento.

Il trattamento di dati degli utenti, peraltro, produce vantaggi per le figure interessate. Gli inserzionisti hanno la possibilità di far giungere i propri messaggi commerciali agli utenti che, sulla base dei dati raccolti, si presume abbiano un interesse per i prodotti e servizi oggetto della comunicazione. Gli stessi internet user, stando ad alcune ricerche, manifestano la preferenza per soluzioni free e messaggi commerciali orientati ai loro interessi (come documentato da Gfk, Europe online: an experience driven by advertising, settembre 2017). Gli investimenti in pubblicità comportamentale rappresentano, invece, la principale fonte di finanziamento dei provider che operano sul fronte dell’offerta di servizi e contenuti in internet; un tale modello di business ha determinato sul versante della raccolta pubblicitaria una complessa filiera di attività economiche in cui, oltre alla domanda e all’offerta di spazi pubblicitari, partecipano numerosi operatori che svolgono funzioni di intermediazione (concessionarie, network pubblicitari, centri media; Cfr. Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Indagine conoscitiva sul settore dei servizi internet e sulla pubblicità online, cit.).

Alla luce di queste e altre evidenze, la disciplina del trattamento dei dati è chiamata a confrontarsi con una realtà economica – l’economia digitale e dei dati – che mette sempre più in discussione la prevalenza del consenso preventivo rispetto all’iniziativa economica; una realtà ben diversa dall’economia di massa, i cui princìpi di produzione, di tayloristica memoria, non necessitavano di conoscere le abitudini dei consumatori, essendo queste ‘eterodirette’ dalle imprese. In una economia in cui si realizzano beni a partire dalla disponibilità di dati, anche di carattere personale, la previsione di un meccanismo di opt in per il trattamento di tali dati appare sempre meno pertinente e suscettibile di introdurre un elemento di alterazione del normale funzionamento del mercato, richiedendo, per questo, una nuova visione del bilanciamento degli interessi che possa tenere conto delle esigenze di equilibrio economico dei fornitori di servizi digitali, elevandole al rango di “legittimo interesse”.

Una simile prospettiva non deve tuttavia insinuare la percezione di una riduzione delle possibilità degli interessati di far valere le loro istanze di protezione dei loro dati, ma deve incentivare l’adozione di misure tecniche idonee a far esercitare concretamente il principio di autodeterminazione informativa nell’economia digitale, vale a dire la libertà degli interessati di stabilire se e in che misura condividere i propri dati con le imprese.

Il principio di autodeterminazione, se ben supportato sotto il profilo tecnico, può dare, nella sua attuazione, l’indicazione delle reali scelte di privacy degli utenti, in tal modo aprendo nuovi scenari in cui le imprese, oltre a utilizzare i dati dei loro clienti, potranno cogliere l’opportunità di non utilizzarli, se gli interessati si oppongono, sfruttando proprio le loro esigenze di privacy.

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