La politica digitale del governo italiano poggia su due pilastri: il piano per la diffusione delle infrastrutture ultrabroadband con obiettivi che vanno a cogliere tutti i target previsi dalle strategie Ue; il progetto “Crescita Digitale” che – non tragga in inganno il titolo – rappresenta soprattutto una serie di interventi mirati alla rivoluzione digitale della PA.
Sono progetti importanti ed è nell’interesse di tutti che vadano in porto entrambi, anche se gli strumenti – nel caso dell’infrastrutturazione – non saranno alla resa dei conti proprio quelli inizialmente immaginati a Palazzo Chigi. Va superato il gap di diffusione delle nuove reti frutto di un passato di investimenti carenti e di assenza di cable operator.
Così come è altrettanto necessario cambiare la macchina pubblica. Si tratta di adeguare le tecnologie, ma la vera questione è molto più complessa: l’innovazione dei processi funzionali e la rivoluzione radicale dell’approccio della PA nella fornitura dei servizi e delle sue interrelazioni con cittadini e imprese, da considerare clienti e non sudditi. Manca però un terzo pilastro, altrettanto fondamentale per l’innovazione e il recupero della capacità competitiva dell’Italia. Esso è rappresentato dalla trasformazione digitale delle imprese. Anche qui siamo indietro. Continuare a rimanerlo è pericolosissimo. Il web offre potenzialità enormi per l’export del made in Italy. Bisogna, però, saperle cogliere. L’alternativa non è restare fermi, è correre all’indietro.
Prendere il treno digitale non è tuttavia semplice in un Paese costellato soprattutto di piccole e piccolissime imprese. L’“economia del cespuglio” – come venne definita dal Censis – ci ha salvato fra gli anni ’70 e ’80. Ora rischia di affossarci se le nostre imprese non sapranno cogliere l’occasione di Internet. Diversamente, resterà utopia l’auspicio del premier Renzi di “riprendere la Germania”.
L’esplosione di tecnologie mobili, social network, big data hanno molto a che fare con il produttore di olio, l’artigiano mobiliere o il fornitore di macchinari per l’industria. Come nella PA, anche nelle imprese private la rivoluzione culturale digitale è la precondizione per la diffusione delle web-technologies. Ed essa non può essere delegata solo allo Stato.