L'OSSERVATORIO

E-gov, Comuni nel guado: il 35% è “non digital”

Solo il 4% degli enti è un vero “Digital Champion”. Il 30% dei cittadini non può interagire online con la PA per mancanza di servizi. In controtendenza l’e-payment: il 59% delle amministrazioni locali ha avviato pratiche di adesione a PagoPa. Bene la digitalizzazione delle scuole, limitata quella degli Sportelli Unici delle Attività Produttive. Il report dell’Osservatorio E-gov del Polimi

Pubblicato il 24 Lug 2017

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L’eGovernment italiano cresce ma mostra ancora un quadro a luci e ombre, con una forte frammentazione delle iniziative di innovazione, scontando la mancanza di un coordinamento strutturato di progetti e investimenti, la carenza di competenze specifiche e la scarsa capacità di fare rete tra gli enti locali, che mostrano difficoltà a stabilire partenariati per accedere ai finanziamenti europei e in pochi casi fanno “riuso” dei software tra PA. La fotografia è scattata dall’Osservatorio eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano secondo cui gli investimenti in innovazione digitale resteranno immutati nel 2017 per oltre il 60% degli enti locali e aumenteranno nel 30% dei casi. Solo nel 44% dei Comuni c’è già almeno un progetto di innovazione in corso e nel 22% una delega tecnica dedicata all’eGovernment. Appena il 17% ha partecipato a progetti finanziati con fondi diretti europei, chi non l’ha fatto trova difficoltà nello sviluppare un’idea progettuale (44%), gestire il progetto (32%), coordinare i soggetti costituenti il partenariato (29%).

Resta eterogenea la digitalizzazione dei servizi degli enti: solo il 4% dei Comuni è un vero “Digital Champions”, mentre il 35% è totalmente “Non Digital”, ma nei fatti il 30% della popolazione italiana non può interagire online con la PA locale perché non ci sono servizi interattivi. Riguardo agli strumenti però la situazione è buona: il 79% degli enti dispone di un sistema di gestione documentale e il 71% di un sistema di conservazione digitale. Ma non si afferma la pratica del riuso di software tra amministrazioni: il 64% degli enti che hanno sviluppato soluzioni informatiche non considera ancora questa possibilità.

È positivo invece il trend dei pagamenti digitali verso la PA, grazie alla diffusione di PagoPA: nei primi mesi del 2017, su 21 Regioni e Province Autonome, 18 si sono già proposte come intermediari tecnologici; tra gli enti locali solo il 9% non conosce ancora PagoPA (un anno fa erano il 67%) e il 59% ha aderito al Nodo dei Pagamenti-SPC. Nel 25% dei Comuni è già possibile accedere al Fascicolo del cittadino per consultare la situazione debitoria. Non è omogenea invece la digitalizzazione degli Sportelli Unici delle Attività Produttive: un canale web e` ormai diffuso nell’81% dei casi, ma nel 10% restano sistemi di ricezione delle pratiche allo sportello, solo nel 45% c’è un sistema di gestione documentale ed è ancora scarsa la diffusione del pagamento elettronico (21%).

È avanzata la digitalizzazione delle scuole, tutte dotate di connessione internet: il 97% usa la firma digitale, il 70% degli istituti archivia digitalmente i documenti e utilizza un sistema di workflow automatizzato, il 90% ha attivo il protocollo digitale. Nei processi gestionali e organizzativi, solo il 4% delle scuole è poco o per nulla digitalizzata, il 39% è già “Fully Digital”.

“Gli enti locali stanno maturando una nuova concezione dell’innovazione come processo strutturato e non solo come una serie di progetti isolati, ma per un pieno sviluppo dell’eGovernment in Italia mancano ancora le competenze interne e la capacità di fare rete – spiega Giuliano Noci, Responsabile scientifico dell’Osservatorio eGovernment -. Gli ultimi mesi hanno visto la realizzazione e l’attivazione di grandi progetti strategici come Spid, Anpr e PagoPA, la pubblicazione del nuovo Cad, del Codice degli Appalti, del Piano Triennale dell’Informatica della PA: queste importanti iniziative rischiano però di faticare a raggiungere i propri obiettivi se gli enti Locali saranno lasciati autonomi nella gestione del cambiamento. Per mettere a fattor comune risorse e competenze serve un sistema di governance dell’innovazione che favorisca la collaborazione tra enti”.

A questo scopo è cruciale il ruolo del Team per la Trasformazione digitale che nel report dell’Osservatorio eGovernment ha raccontato il lavoro svolto nei primi mesi di lavoro in particolare su l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente e su PagoPA, con indicazioni utili agli enti locali impegnati nel percorso di trasformazione digitale.

“Il 54% degli enti locali considera prioritario avere occasioni formative per migliorare le conoscenze sul digitale e la ricerca rivela come in ogni ambito sia cruciale l’acquisizione di nuove competenze, non solo tecniche, per consentire ai dirigenti pubblici di governare il processo di innovazione – evidenzia Michele Benedetti, direttore dell’Osservatorio eGovernment -. II nuovo Cad introduce la figura del responsabile per la transizione digitale in ciascun ente ma non sarà sufficiente se le nuove figure non saranno coadiuvate da uno staff interno adeguato e da una community esterna di condivisione di competenze ed esperienze”.

Ecco il dettaglio della ricerca.

Governance dell’innovazione negli enti locali Oltre il 60% dei Comuni lascerà immutati gli investimenti in innovazione nell’anno 2017, mentre per quasi il 30% aumenteranno, percentuale che negli enti con più di 50.000 abitanti raggiunge il 50%. Tuttavia, solo il 44% degli enti ha in corso almeno un progetto di innovazione, in appena il 22% degli enti esiste una delega tecnica dedicata ai progetti di eGovernment (in metà dei casi è una delega informale); la delega politica è presente solo nel 27% dei Comuni (ed è una responsabilità informale nel 45% dei casi). Il 69% degli enti non ha mai effettuato sviluppo di soluzioni informatiche; il 38% rivela anche che in alcuni casi le soluzioni informatiche realizzate non sono più utilizzate per scarsità di risorse economiche ma anche per le resistenze culturali e organizzative interne all’ente.

A proposito di soluzioni informatiche, risulta ancora carente la cultura del riuso: Del 31% di enti che hanno sviluppato soluzioni informatiche, solo il 17% dice di averle averle messe a disposizione di altri enti secondo la modalità del riuso; il 64%, invece, non considera il riuso come possibilità soprattutto a causa degli oneri legati al trasferimento delle buone pratiche, della specificità delle soluzioni e della difficoltà a collaborare.

“Il 18% degli enti locali collabora con altri soggetti all’interno di una Community orientata allo sviluppo di buone pratiche e ne riporta ampi benefici – osserva Laura Vergani, Codirettore dell’Osservatorio eGovernment -: questo garantisce una regia dell’azione innovativa, si evitano duplicazioni di sforzi e investimenti, si rende omogenea l’offerta di servizi pubblici, si accresce il know-how. Consapevoli delle criticità, gli enti locali chiedono maggiore supporto agli enti sovraordinati: innanzitutto in termini di finanziamento (62% delle risposte), ma anche di formazione (56%) e assistenza nella progettazione (49%)”.

I finanziamenti comunitari possono rappresentare un’ottima opportunità per la realizzazione di progetti di innovazione. ma l’indagine realizzata dall’Osservatorio in collaborazione con EasyGov Solutions e GFinance rivela che il 17% degli enti locali ha partecipato a progetti finanziati con fondi diretti (in maggioranza Comuni con più di 50.000 abitanti). L’83% del campione non accede a questo tipo di finanziamento, in particolare per la difficoltà di sviluppare un’idea progettuale (44%), gestire il progetto (32%) e coordinare i soggetti costituenti il partenariato (29%), tutte criticità legate a loro volta alla mancanza di competenze.

Il livello di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione Locale – E’ un quadro eterogeneo quello che emerge dall’indagine condotta dall’Osservatorio per comprendere il livello di digitalizzazione delle procedure e dei servizi degli enti Locali con riferimento al Back Office e al Front Office. Oltre il 50% degli enti ha meno del 3% dei servizi di Front Office online. L’indagine distingue 4 cluster di Comuni in base al livello di informatizzazione del BO e del FO. Sono completamente “Non Digital” il 35% dei Comuni italiani, per lo più sotto i 5.000 abitanti, mentre nella categoria “Beginners”, che hanno mosso i primi passi verso la digitalizzazione (50% BO e 15% FO digitale) rientra il 40% dei Comuni tra i 5.000 e i 50.000 abitanti e il 15% di quelli oltre i 50.000 abitanti. Al lato opposto si collocano i “Digital Believers” (il 32% dei Comuni grandi e il 7% dei piccoli), che hanno informatizzato il 70% dei sistemi BO e nel 25% dei casi hanno anche sistemi di FO informatizzati; vere eccellenze sono i “Digital Champions”, circa il 4% dei Comuni (la maggior parte di grandi dimensioni), che hanno quasi il 90% del Back Office e oltre il 60% del proprio Front Office informatizzati, anche se solo il 40% dei sistemi di FO e BO sono tra loro integrati. Questo quadro significa che un 30% della popolazione italiana non può interagire online con la Pubblica Amministrazione Locale in quanto non ci sono servizi interattivi, mentre un altro 25% degli italiani può usufruire solo del 30% dei servizi digitali di cui godono i cittadini dei Comuni classificati come “Digital Champions”. Meno critica, complessivamente, la situazione relativa alla presenza di alcuni strumenti che abilitano la digitalizzazione: il 79% degli enti dispone di un sistema di gestione documentale, il 70% di un workflow e il 71% di un sistema di conservazione digitale.

“Emerge in modo evidente la spaccatura che divide gli enti che hanno sufficienti competenze e risorse per introdurre nuovi servizi digitali per interagire con la propria utenza e quelli che invece non sono nemmeno in grado di adottare strumenti informatici adeguati per gestire in modo efficiente i propri processi interni – commenta Michele Benedetti. – A livello nazionale si è cercato di sopperire a questo divario introducendo progetti a carattere sistemico che coinvolgano tutte le PA italiane, in particolare Spid, Anpr e PagoPA, ma occorrerà supportare gli enti locali con risorse economiche, personale e percorsi di formazione”.

Pagamenti verso la PA – Anche grazie ai cambiamenti nel contesto normativo europeo e italiano e all’obbligatorietà di adesione a pagoPA a partire dal 2013, si è attivato un trend positivo in tema di pagamenti digitali verso la Pubblica Amministrazione. Nei primi mesi del 2017, su 21 Regioni e Province Autonome, tutte si sono proposte come intermediari tecnologici con l’eccezione di Abruzzo, Molise e Sicilia. Nel 2016 si sono diffuse, grazie alla pratica del riuso, alcune piattaforme regionali: MyPay di Regione Veneto, Payer della Regione Emilia Romagna e Iris di Regione Toscana.

Ad oggi solo il 9% degli enti locali dichiara di non essere a conoscenza di pagoPA, in netta diminuzione rispetto al 2015 (67% del campione); il 59% ha aderito al Nodo dei Pagamenti-SPC contro nessuno nella primavera del 2015. Mediamente, sono 4 i canali offerti dalla PAL ai propri cittadini per effettuare pagamenti (nel 2013 erano solamente 2). Il 6% dei rispondenti ha già reso disponibile ai cittadini il canale pagoPA, anche se sono soprattutto Comuni di grandi dimensioni e situati nel nord del Paese. Crescono anche le richieste di autenticazione per l’effettuazione del pagamento: si passa dal 5% all’11% dei rispondenti (soprattutto Comuni di grandi dimensioni) e nel 13% dei casi l’autenticazione avviene tramite SPID.

“I dati sui Pagamenti alla PA molto incoraggianti ma non significano che il lavoro sia concluso – osserva Laura Vergani. – L’adesione prevede come prima attività da parte dell’ente la scelta dei servizi da attivare e un ordine di priorità per la messa in esercizio, ma solo un Comune su due tra quelli che hanno aderito a pagoPA ha già compiuto questa scelta e il principale criterio seguito per compierla è stato quello della facilità di implementazione, seguita dai costi necessari per l’adeguamento dei propri sistemi. Va anche notato che il 79% dei Comuni lamenta il fatto che non ha ricevuto supporto organizzativo/consulenziale dagli enti sovraordinati”.

eProcurement – Negli enti locali, la gestione del processo d’acquisto è ancora eterogenea. Sebbene oltre un Comune su due con più di 80.000 abitanti dichiari di avere un grado di standardizzazione e strutturazione delle procedure alto o molto alto, il 40% di quelli con meno di 40.000 abitanti non ha formalizzato alcuna procedura. In generale, le piattaforme elettroniche a supporto della fase di gara sono una prassi, utilizzate per oltre il 50% delle transazioni da oltre il 75% degli enti, mentre le altre fasi del processo di acquisto sono marginalmente digitalizzate.

Tra le piattaforme di eProcurement offerte dai soggetti aggregatori, ne sono state individuate 15, attive o in attivazione entro il 2017. Quasi tutte queste piattaforme (circa l’80%) gestiscono le principali tipologie di procedure di gara; la gestione del Sistema Dinamico di Acquisizione è coperta solo dal 40% delle piattaforme rilevate; buona la copertura telematica delle fasi specifiche per la gestione delle procedure di gara (circa l’80%); invece, non è completa (60%) la diffusione degli strumenti correlati alle procedure di gara. “L’introduzione dell’ICT non sarà pienamente efficace finché non prenderà le mosse da un approccio sistemico al processo di acquisto – rileva Michele Benedetti – : è importante supportare gli enti nell’attivare questo percorso di innovazione, non solo obbligandoli all’utilizzo di strumenti di eProcurement, ma fornendo linee guida e innescando meccanismi di confronto e condivisione di esperienze virtuose tra gli enti”.

Digitalizzazione dei SUAP – L’indagine svolta in collaborazione con il Dipartimento della Funzione Pubblica e Unioncamere mostra una fotografia del territorio italiano relativa alla gestione dello Sportello Unico delle Attività Produttive con forti differenze tra Regioni: il canale web è presente nell’81% dei casi con picchi in alcune Regioni del 100% ma permane l’utilizzo di sistemi di ricezione pratiche a sportello (10%). In alcune regioni vengono ricevute per via telematica solamente il 14% delle pratiche, nelle più virtuose quasi la totalità (99%). La PEC è il principale strumento per la comunicazione con enti Terzi mentre sono poco diffusi strumenti più avanzati come l’utilizzo di database condivisi (il 19% dei rispondenti dichiara di utilizzarlo per i rapporti con ASL o Camere di Commercio). È bassa anche la diffusione del pagamento elettronico, disponibile solamente nel 21% del campione. Per quanto riguarda il livello di digitalizzazione nella gestione interna delle pratiche ricevute, solamente nel 45% dei casi è presente un sistema di gestione documentale (dal 100% delle regioni più virtuose allo 0% di quelle meno attrezzate). Nel 53% dei casi è presente un sistema di conservazione sostitutiva (+3% rispetto al 2015).

Digitalizzazione dei processi della scuola – L’indagine, in collaborazione con ANP, l’Associazione Nazionale Dirigenti e Alte professionalità della Scuola, mostra un alto livello di digitalizzazione: tutte le scuole sono dotate di connessione Internet, nella maggior parte dei casi (55%) di tipo DSL, nel 29% in fibra ottica, nel 21% tramite operatore wireless fisso WISP, mentre solamente per il 6% dei rispondenti è tramite modem tradizionale a 56 Kbps. La firma digitale è ormai utilizzata praticamente in tutte le scuole dai Dirigenti Scolastici (97%), nel 76% dei casi anche dai Dirigenti Scolastici Generali e Amministrativi (DSGA). Più del 70% archivia digitalmente i documenti e utilizza un sistema di workflow automatizzato. Il protocollo digitale è una realtà matura: lo utilizza il 90% dei rispondenti. Il sito internet è utilizzato principalmente a scopo informativo, per la pubblicazione di documenti istituzionali (98% dei casi), di informazioni generali (97%) o su attività scolastiche (93%), calendario, orari, libri di testo, programmi (93%). In pochi casi offre il rilascio di certificati e permessi (16%), permette di esprimere feedback, giudizi, suggerimenti (11%).

Buono anche il livello di digitalizzazione dei processi gestionali-organizzativi interni alla scuola. Solo il 4% delle scuole italiane è poco o per nulla digitalizzata (“Non digital”), con una bassa diffusione dei software a supporto dei processi didattici e in media oltre il 70% dei processi gestito attraverso l’uso del cartaceo, mentre il 21% delle scuole è già a livello “Beginners”: ha iniziato un processo di digitalizzazione, con software in circa metà dei processi e digitalizzazione soprattutto dei processi di supporto all’attività didattica. Il 36% delle scuole si è portato a livello “Digital Believers”, che indica una buona digitalizzazione soprattutto nei processi di supporto, quasi completamente digitalizzati; infine, il 39% delle scuole è “Fully Digital”: il 100% dei processi primari e almeno il 95% di quelli di supporto sono digitalizzati e in quasi tutti i processi è usato un software.

“Le competenze del personale sono il fattore chiave per abilitare la digitalizzazione dei processi nella scuola pubblica – conclude Michele Benedetti -. Un’altra variabile che impatta la digitalizzazione della scuola è la disponibilità di personale amministrativo da dedicare alla digitalizzazione: il 15% delle scuole ‘Fully digital’ lamenta una mancanza di personale da dedicare, e così fa il 24% delle ‘Beginners’ e il 40% delle ‘Non Digital’. Sarebbe utile anche una maggiore apertura della scuola verso l’esterno e un avvicinamento al mondo dell’università perché dia supporto ai Dirigenti Scolastici nello sviluppo di competenze manageriali e di eLeadership”.

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