Reduci da incidenti molto gravi, tre austriaci possono ora utilizzare una mano bionica comandata dal loro stesso pensiero, che consente una notevole libertà di movimento nello svolgere le attività quotidiane. Si tratta di una protesi robotica sofisticata, funzionante grazie a una serie di sensori che captano i piccoli segnali nervosi residui in seguito ai traumi che hanno fatto perdere l’arto a queste persone.
I pazienti sono entrati in sala operatoria tra il 2011 e il 2014 e adesso i risultati degli interventi sono stati pubblicati dalla rivista scientifica Lancet. Dunque dopo l’occhio bionico che ha portato Allen Zderad, un pensionato di Forest Lake, nel Minnesota, a rivedere dopo dieci anni il volto della moglie – “è stato semplice, era la più bella nella stanza”, il commento del 68enne –, e la pelle artificiale per recuperare il tatto, esito della collaborazione tra ricercatori coreani e statunitensi, per la prima volta una protesi robotica è stata “allacciata” all’avambraccio con un complesso intervento, ricorrendo alla tecnica operatoria della ricostruzione bionica sviluppata dal gruppo di Oskar Aszmann dell’università di Vienna (il chirurgo plastico e riabilitativo ha definito l’intero iter “un lavoro particolarmente complesso, ma i risultati sono incoraggianti”) in collaborazione con Dario Farina, direttore del dipartimento di ingegneria della neuroriabilitazione dell’ateneo di Gottingen, in Germania.
Nel dettaglio, l’opera di ricostruzione ha attraversato diversi, delicati stadi: da quello finalizzato alla captazione dei segnali nervosi sopravvissuti all’incidente che ha reciso l’arto, al training cognitivo che insegna come recuperare l’abitudine ai gesti e a comandare la mano fino all’impianto vero e proprio.
Dichiara Farina: “Attualmente stiamo collaborando con un gruppo di Aszmann per altri tre nuovi pazienti che hanno già seguito la procedura di ricostruzione bionica”. Quindi è lo stesso Aszmann a precisare che “finora questo tipo di intervento è stata condotto solo nel nostro centro di Vienna. Ad ogni modo non esistono limitazioni di carattere tecnico o chirurgico che impedirebbero di ricorrervi in centri con competenze e risorse simili”.
Occorre ricordare che, a livello mondiale, esistono numerosi gruppi di ricerca che portano avanti progetti di sviluppo di protesi robotiche. Come nel caso di “Life hand 2”, un progetto internazionale che ha riunito anche una serie di istituti e centri di ricerca italiani. Il rimando è a una mano artificiale innestata sul braccio amputato – quello del danese Dennis Aabo Sorensen, a seguito dello scoppio di un petardo – capace di muoversi sia rispondendo direttamente agli impulsi del cervello sia trasmettendo sensazioni tattili, facendo “sentire” forme e consistenza degli oggetti impugnati