In un breve, ma molto arguto articolo Nicola D’Angelo ha commentato l’opinione dell’economista premio Nobel Paul Krugman secondo il quale attualmente la società del 2.0 vive un grande paradosso che possiamo così riassumere: mentre la tecnologia, negli anni recenti ha fatto passi rapidissimi, inaspettati e che inducono a pronosticarne sviluppi fantascientifici, la parallela crescita economica delle società a tecnologia avanzata batte la fiacca e, in qualche occasione precipita proprio in ragione delle turbolenze sui titoli hi-tech. Il premio Nobel quindi si interroga sulla indispensabilità delle nuove tecnologie.
Da questo interrogativo Krugman fa discendere alcune ovvie considerazioni sul futuro dell’era digitale dove si pensa più ad inventare tecnologia che a diffonderne l’insegnamento, non solo teorico, ma anche pratico di come utilizzarne al massimo le funzioni e le applicazioni atteso che apparato tecnologico e suo utilizzo sono due cose completamente diverse. Il dato macroeconomico dimostra, infatti, che la diffusione delle nuove tecnologie è inversamente proporzionale alla crescita economica della community degli utilizzatori delle stesse tecnologie, così come la spedita imposizione dell’informatica e della telematica nel processo civile è inversamente proporzionale alla rapida definizione delle cause.
Parafrasando mentre in termini economici cresce la produttività degli istanti utilizzatori delle nuove tecnologie ma non cresce il loro reddito così, parallelamente, nel processo civile crescono gli adempimenti e i costi imposti agli avvocati – acquisto di redattori, firma digitale, PEC, assistenza e programmi di gestione dello studio legale – ma contemporaneamente non si riducono i costi del processo (estrazione di copia ecc.), o l’onere di portarsi presso le cancellerie per depositare la “copia di cortesia” e non si riducono i tempi del processo civile che anzi, incomprensibilmente si allungano.
Certo oggi con Twitter un politico può pensare di spiegare una iniziativa legislativa ma al di là della sua comunicazione che oramai è solo bulimica, in quanto fa scomparire in un nanosecondo ogni altra notizia, i Tribunali e le Corti, fatte di persone con valori e principi oltre che passioni e sentimenti, sono chiamati ad applicare quella legge che, a volta mal scritta, esce dal Parlamento. In tale attività essi si trovano dinnanzi alle ulteriori difficoltà di una tecnologiche che pone più ostacoli di quanti ne doveva risolvere.
Sul piano della sicurezza poi il Capo della Polizia, in audizione al Copasir, rivela che attualmente tutte le indagini penali sono bloccate dopo la pubblicazione del codice sorgente del software della società milanese Hacking Team. Cosi dopo le rassicurazioni dei primi giorni – in perfetto stile di disinformazione programmata – è emerso che anche alcune società esterne al ministero della Giustizia utilizzavano il software dell’ azienda milanese. L’augurio è che non sia software utilizzato per il PCT perché dopo tutti i certificati, password e identificativi richiesti agli avvocati, scoprire che i dati sensibili processuali che viaggiano sulla rete dei Tribunali, Corti e studi legali sono stati intercettati sarebbe un’amara beffa ed il crollo della credibilità nella giustizia digitale.