Ora anche eBay, dopo Google e Facebook, finisce nel mirino del Fisco italiano. L’Agenzia delle Entrate ha inviato un avviso di accertamento al sito di compravendite online con cui chiede 21,2 milioni di tasse non pagate nei primi anni di attività più 55,6 milioni di sanzioni e interessi.
Come riferisce il settimanale L’Espresso, dopo un’indagine condotta dalla Guardia di Finanza di Milano, l’Agenzia ha certificato che la società americana non ha pagato per anni alcuna imposta mentre continuava a operare con successo sul territorio italiano. Se la Commissione tributaria di Milano non accoglierà il ricorso già presentato dal gruppo statunitense, questo sarà costretto a versare complessivamente 76,8 milioni di euro.
Nato nel 1995 come sito di aste online dove si vendevano solo oggetti usati, con gli anni eBay ha cambiato faccia: oggi il 64% degli oggetti venduti in tutto il mondo sono nuovi e messi in vendita da utenti professionali a un prezzo prefissato con la formula del “compralo subito”. eBay ha chiuso il quarto trimestre 2012 con ricavi per 4 miliardi di dollari, in aumento del 18% rispetto ai 3,38 miliardi del corrispondente periodo dell’esercizio precedente, e con un utile netto di 751 milioni di dollari, rispetto agli 1,98 miliardi del quarto trimestre 2011.
Il sito made in Usa è l’ultimo di una serie di colossi online finiti al centro di indagini fiscali in Italia.
Il 28 novembre scorso il Ministero dell’Economia, in risposta a un’interrogazione del deputato Pd Stefano Graziano, ha affermato che risultano “elementi positivi di reddito non dichiarati per un importo di oltre 240 milioni di euro” da parte di Google Italia, nonché un’Iva “relativa e dovuta per un importo pari ad oltre 96 milioni di euro tra il 2002 e il 2006”. Il ministro dell’Economia Vittorio Grilli ha quindi invitato pubblicamente BigG a saldare i conti.
Una decina di giorni dopo la Guardia di Finanza ha avviato verifiche su Facebook Italia. Il Nucleo di polizia tributaria delle Fiamme Gialle di Milano ha condotto una serie di accertamenti amministrativi presso gli uffici milanesi dell’azienda fondata da Mark Zuckerberg.
Ma le verifiche fiscali non avvengono solo in Italia. Da qualche mese Google e altre net companies Usa sono sotto indagine anche da parte dei governi francese, britannico e australiano perché accusati di evitare di pagare le tasse nazionali dichiarando i suoi ricavi in Paesi, come ad esempio l’Irlanda, dove l’imposizione fiscale è più favorevole per le multinazionali.