In Italia soltanto il 29% dei consumatori acquista online, in una classifica in cui il Paese si piazza al 26esimo posto su scala europea, prima soltanto di Bulgaria e Romania. In testa alla classifica il Regno Unito, la Danimarca e il Lussemburgo. Sono i dati che emergono dallo scoreboard sulla condizione dei consumatori pubblicato dalla Commissione Ue, basato sui dati riferiti al 2016. Dallo studio emerge che nell’Unione europea soltanto un’azienda su cinque, tra quelle che contano almeno 10 dipendenti, vende online. Le percentuali più alte si registrano in Irlanda (30%), Danimarca (29%), Germania (28,5%) e Svezia (28,2%), le più basse in Italia (11%), Lettonia (10,2%), Bulgaria (8,6%) e Romania (7,4%). Nel 2016, secondo di dati elaborati dalla Commissione Ue, il 24,2% dei cittadini europei che acquistano online da un altro Stato membro dichiara di aver incontrato ostacoli nella transazione.
Se si considera il trend confrontando i risultati con quelli degli anni precedenti, emerge che gli acquisti online stanno progressivamente aumentando nell’area Ue: l’e-commerce ha coinvolto nel 2007 il 29,7% dei cittadini Ue, nel 2015 il 53% e nel 2016 il 55,1%. Nel 2016, inoltre, il 10,5% dei cittadini Ue ha acquistato online un prodotto assicurativo, il 3,6% prodotti finanziari per investire e il 2,3% ha chiesto un prestito.
Quanto alla spesa online per abitante nel 2015 l’Italia risultava in quart’ultima posizione seguita da Bulgaria, Ungheria e Romania. Per le vendite online da parte del business, l’Italia nel 2015 si è piazzata in quart’ultima posizione anche se questa pratica aumenta: nel 2009 le vendite online costituivano il 5% del totale, nel 2014 il 10%, nel 2015 l’11% a fronte di una media Ue rispettivamente di 14,9%, 19,4% e 20,4%. Peggio dell’Italia Lettonia, Bulgaria e Romania. Nella Ue la maggioranza delle denunce ai centri di difesa dei consumatori nella Ue ha riguardato le transazioni con compagnie aeree (19,2% del totale) seguite da quelle nei settori abbigliamento, multiproprietà, arredamento, servizi di accomodamento, prodotti elettronici, noleggi, beni tecnologici, sport e hobby, servizi internet, strumenti musicali e sport, viaggi. La Commissione nota che i commercianti al dettaglio nella Ue sono comunque restii a espandere le loro attività online e continuano a nutrire perplessità sulle vendite via internet a consumatori in altri paesi Ue a causa del maggiore rischio di frode o di mancato pagamento nelle vendite transfrontaliere, delle diverse normative fiscali, delle differenze nei diritti contrattuali nazionali e nelle norme a tutela dei consumatori.
Il quadro di valutazione mostra che complessivamente la fiducia dei consumatori nel commercio elettronico è sensibilmente aumentata. In dieci anni la percentuale di cittadini europei che acquistano online è quasi raddoppiata (passando dal 29,7% nel 2007 al 55% nel 2017). Dall’ultimo quadro di valutazione i livelli di fiducia dei consumatori sono aumentati del 12% per gli acquisti da dettaglianti situati nello stesso paese e del 21% per gli acquisti da altri Stati membri Ue. Nella Ue il 13% degli intervistati ha dichiarato che il pagamento è stato loro rifiutato e il 10% ha dichiarato che è stata loro negata la consegna dei prodotti nel loro paese. Rispetto alla valutazione del 2015, in media il 13% dei consumatori è pienamente consapevole dei propri diritti essenziali (un aumento del 3,6% rispetto al 2014). Tuttavia, le condizioni dei consumatori sono generalmente più favorevoli nei paesi del nord e dell’ovest rispetto a quelli dell’est e del sud: il 94,5% dei finlandesi si lamenta quando incontra problemi, mentre in Bulgaria solo il 55,6% lo fa. Anche l’esposizione alle pratiche commerciali sleali varia considerevolmente, andando dal 40,9% in Croazia al 3,4% in Austria. La conoscenza delle norme a tutela dei consumatori da parte dei dettaglianti non risulta migliorata. Sebbene i consumatori abbiano meno motivi per presentare reclami, quelli che lo hanno fatto sono più soddisfatti di come i loro reclami sono stati trattati. Tuttavia, quasi un terzo dei consumatori ha deciso di non presentare reclamo ritenendo che gli importi in questione fossero troppo esigui (34,6%) o che il procedimento sarebbe stato troppo lungo (32,5%).