L’export digitale italiano dei beni di consumo in maniera diretta (cioè B2C, tramite sito proprio o marketplace) o intermediato (B2B2C, tramite retailer online) nel 2022 ha raggiunto il valore di 18,7 miliardi, in crescita del 20,3% rispetto al 2021 (in linea con la performance complessiva dell’export italiano), per un aumento annuo di circa 3 miliardi di euro, raggiungendo una quota pari all’8,8% dell’export italiano complessivo.
Lo afferma la nuova ricerca dell’Osservatorio Export Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, secondo cui i settori più rilevanti sono il Fashion, 10,1 miliardi di euro, il 54% del totale, il Food & Beverage, 2,6 miliardi di euro, +18,2% rispetto al 2021, e l’Arredamento, 1,3 miliardi di euro, in crescita del +13% rispetto al 2021.
In questo contesto, però, le pmi italiane presentano strategie di export digitale ancora poco mature, con forti inefficienze nell’uso dei canali di vendita digitali, delle tecnologie per l’export e dei cruscotti di indicatori per valutare dei progetti di internazionalizzazione.
Export digitale B2B: +20%
Sul fronte del commercio tra aziende, l’export digitale B2B ha raggiunto nel 2022 il valore di 175 miliardi di euro, in crescita del +20% rispetto ai 146 miliardi del 2021, pari a circa il 28% del totale dell’export italiano). In termini di incidenza, i settori che pesano di più sono l’Automotive (38 miliardi di euro, 22% del totale), il Fashion (26 miliardo di euro, 15% del totale) e la Meccanica (17,8 miliardi di euro, 10% del totale), ma le crescite maggiori si riscontrano nel Farmaceutico (+47%), nell’Elettronica di consumo (+21%) e nel Fashion (+20%).
Un’opportunità “non ancora pienamente compresa”
L’Osservatorio ha sviluppato una mappatura per misurare il livello di maturità su 6 aree funzionali che caratterizzano una strategia di export digitale, da cui emerge che la maggioranza delle pmi si colloca in stadi iniziali di maturità per molte delle dimensioni indagate. I livelli di digitalizzazione più bassi nell’adozione di canali di vendita digitali, nell’uso di tecnologie a supporto dell’export e nell’utilizzo di cruscotti di indicatori strutturati per la valutazione dei progetti di internazionalizzazione. Questo fenomeno può essere spiegato da una scarsa propensione alla digitalizzazione, frutto di una carenza di competenze sui temi dell’innovazione digitale e tecnologica e di una cultura aziendale ancorata ai paradigmi del passato, nonché da una limitata disponibilità di risorse da allocare. Al contrario, la maggiore maturità si ritrova nel marketing & comunicazione e nella governance del progetto.
“Nonostante lo scenario economico negativo, nel 2022 le esportazioni italiane sono cresciute notevolmente, più per l’aumento dei costi di produzione e dei prezzi che dei volumi: se i brand italiani non hanno osservato un aumento degli ordini cross-border, sono comunque riusciti a mantenere le loro quote di mercato – spiega Riccardo Mangiaracina, responsabile scientifico dell’Osservatorio Export digitale -. In un contesto turbolento, il canale online rappresenta un’opportunità non ancora pienamente compresa dalle pmi per raggiungere mercati lontani, conoscere meglio i propri clienti e ottimizzare i processi di vendita. Oggi, più che mai, è necessario creare cultura e diffondere conoscenza per agire con consapevolezza in una strategia di export digitale”.
Spingere sull’internazionalizzazione
“Il nostro tessuto imprenditoriale sconta i limiti di una ridotta disponibilità di risorse e scarse conoscenze sul digitale – dice Samuele Fraternali, direttore dell’Osservatorio Export digitale -. Servono governance definita e competenze tecniche per realizzare progetti di internazionalizzazione, oltre a un maggiore ricorso ai finanziamenti e alle misure di sostegno all’internazionalizzazione. Le istituzioni, le università, le associazioni di settore e professionali possono avere un ruolo determinante nell’accelerare la trasformazione digitale e favorire l’esportazione del Made in Italy”.