Con il 45%, l’Italia ha un tasso di “imprese completamente digitali” più alto – a pari merito con la Svezia – fra nove paesi europei: Uk, Germania, Belgio, Danimarca, Olanda e Spagna. Ma catena di approvvigionamento, burocrazia e barriere culturali restano freni ancora da contrastare. Emerge dal “Barometro delle esportazioni delle Pmi in Europa” presentato da Alibaba.com secondo cui se l’80% degli intervistati crede che l’export sia un elemento fondamentale nella spinta verso la digitalizzazione del proprio business, oltre la metà delle aziende ammette di essere ancora indietro nel percorso di digitalizzazione di processi e operazioni. Intanto l’e-commerce diventa centrale anche per i negozi di vicinato italiani, secondo lo studio realizzato dalla Fondazione De Gasperi con Amazon su “falsi miti ed evidenze” del commercio elettronico.
I numeri dell’export digitale
Sono 9mila le aziende europee che hanno preso parte alla survey di Alibaba.com secondo cui i dati italiani rivelano che se l’80% degli intervistati crede che l’export sia un elemento fondamentale nella spinta verso la digitalizzazione del proprio business, oltre la metà delle aziende ammette di essere ancora indietro nel percorso di digitalizzazione di processi e delle operazioni. Infatti, anche se per l’84% delle aziende la digitalizzazione ha aiutato a tagliare costi e inefficienze, ben il 70% ammette che è ancora troppo onerosa per il proprio business. Inoltre, sebbene l’84% sottolinei che la trasformazione digitale sia fondamentale per la crescita del business, ben il 69% si dice incerto sulle modalità di implementazione e ben l’83% esprime necessità di ampliare le proprie conoscenze in materia.
Spicca in questo contesto la posizione dell’Italia che con il 45% – insieme alla Svezia – mostra un tasso di “imprese completamente digitali” più alto fra i nove paesi europei oggetto della survey.
“Piattaforme digitali come Alibaba.com, marketplace leader nel settore B2B, consentono alle pmi di superare molte delle barriere che incontrano quando esportano all’ingrosso a livello globale – dice Luca Curtarelli, Country Manager di Alibaba.com per Italia e Spagna – permettendo alle eccellenze del Made in Italy in moltissimi settori di raggiungere mercati e compratori ovunque nel mondo. Oggi più che mai, quindi, rendere l’export digitale facile ovunque rimane la nostra priorità ed è alla base del patto con le aziende che affianchiamo ogni giorno”.
La forza dell’export digitale
Dal punto di vista degli strumenti e delle piattaforme, i marketplace come Alibaba.com – marketplace B2B globale che connette oltre 47 milioni di compratori professionali a 200mila e più venditori, in 200 paesi del mondo coprendo 40 settori merceologici – rappresentano, si legge nella survey, “un’opzione accessibile: il 74% degli intervistati utilizza un marketplace sottolineandone i vantaggi soprattutto in termini di ricerca di nuovi potenziali acquirenti e di accesso a nuovi mercati”. Le opportunità di export digitale agiscono anche come leva per il contenimento dei costi: Alibaba.com stima un risparmio di almeno il 97% sugli investimenti che un’impresa deve fare per acquisire nuovi clienti.
Gli ostacoli all’innovazione
Esistono tuttavia ancora numerose barriere all’export, e nella top 5 vengono segnalate: difficoltà nel reperire e assumere personale specializzato (27%); incertezza geopolitica ed economica (25%); barriere linguistiche (21%); e ancora, scarsa expertise in materia di esportazioni, insieme a mancanza di un partner adeguato (20%) e richiesta di maggiore documentazione e burocrazia. Nonostante questo le aziende si ritengono ottimiste e il 66% afferma che si aspetta un aumento delle vendite nel prossimo anno. Il 56% lavora attualmente con un marketplace e il 24% ha cominciato a farlo durante la pandemia.
E-commerce, una leva per i negozi di vicinato
L’e-commerce può rivelarsi un’opportunità di sviluppo per i negozi di vicinato. Emerge dallo studio realizzato dalla Fondazione De Gasperi con Amazon su “falsi miti ed evidenze dell’e-commerce”. Secondo Enzo Risso, direttore di Ipsos, l’ampiezza della selezione e la presenza della consegna a domicilio sono i fattori trainanti per le vendite online, controbilanciati dalla preferenza per i prodotti artigianali che spinge, invece, a preferire canali tradizionali.
Ma è emerso anche che le preoccupazioni sulla sostenibilità dell’e-commerce allontanano alcuni potenziali acquirenti intervistati, preoccupati dalla logistica a supporto della rete di distribuzione. Il responsabile della ricerca, Emilio Colombo, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha sottolineato come le dinamiche occupazionali – che segnano, contro le aspettative, un trend positivo – non diano modo di confermare un legame causale tra la diffusione dell’e-commerce e la perdita di posti di lavoro nelle attività tradizionali. Secondo una serie storica realizzata da Istat negli ultimi 10 anni e fino all’irrompere della pandemia, il settore del commercio ha vissuto un periodo di crescita, sostanzialmente contemporaneo alla diffusione dell’e-commerce, pur registrando la scomparsa di alcune attività di piccole e medie dimensioni.
L’impatto ambientale dello shopping online
Dallo studio emerge come l’e-commerce permetta di ottimizzare i processi distributivi, e riduca il numero di clienti in circolazione, riducendo gli spostamenti a vuoto, contenendo l’impatto ambientale e migliorando la sostenibilità del settore commerciale.
Più in generale, dallo studio emerge come l’occupazione nelle piccole e medie attività segua dinamiche locali più che nazionali. Lo studio ha infatti rilevato come l’aumento dell’1% della popolazione nel territorio di riferimento, si riverbera in un incremento del 1,2% nell’occupazione nel settore commerciale. Le ricerca dà, inoltre, evidenza che la penetrazione del commercio elettronico si attesta attorno al 12%, una percentuale importante ma assolutamente secondaria rispetto a quella del cosiddetto commercio tradizionale (centri commerciali e alle strutture della grande distribuzione organizzata) che continua a rappresentare circa il 90% degli acquisti del settore
Negozi fra offline e online
Rilevato anche come, secondo il 71% dei consumatori, i negozi “brick and mortar” abbiano raccolto la sfida dell’e-commerce ripensando al proprio ruolo di negozi di vicinato sia con un miglioramento della qualità e quantità dei servizi offerti alla propria clientela, sia diventando punti di consegna per gli acquisti online (per 6 consumatori su 10), trasformando l’esperienza del ritiro come un potenziale punto di contatto per la fidelizzazione e il coinvolgimento dell’utenza.
In primo piano gli strumenti che la tecnologia mette oggi a disposizione dei commercianti, permettendo di creare touchpoint strategici per fidelizzare il cliente ed offrirgli un servizio sempre più personalizzato e di qualità.