Sarà l’avvio dei progetti finanziati dal Recovery fund, tramite il Pnrr, a sostenere la vigorosa crescita degli investimenti in Italia, compresi quelli in beni immateriali per la transizione digitale. Il tutto mentre il Pil sarà in ripresa nel primo trimestre del 2023 per tornare poi a tassi di crescita trimestrali più modesti fino alla fine del 2024, per un rallentamento complessivo dell’1,2% nel 2023 e dell’1,1% nel 2024 (a causa dell’aumento dei prezzi che frena i consumi privati). Intanto il tasso di inflazione è destinato a ridursi al 6,1% quest’anno, grazie al calo dei prezzi dell’energia, e a scendere ulteriormente al 2,9% nel 2024.
È questo il quadro delineato per l’Italia dallo Spring 2023 Economic Forecast della Commissione europea (SCARICA QUI IL DOCUMENTO ORIGINALE), il quale puntualizza anche che il deficit pubblico dovrebbe continuare a diminuire, mentre il ritmo di riduzione del debito pubblico è destinato a rallentare a causa di un aggiustamento stock-flussi che aumenta il debito.
Meno risparmi, ma consumi ancora robusti
Nel 2021-22 le famiglie hanno risparmiato meno, ma hanno continuato a consumare e investire a un ritmo robusto, grazie ai risparmi accumulati negli anni precedenti, ai crediti d’imposta per l’efficienza energetica delle abitazioni e ad altre misure di sostegno governativo introdotte per mitigare il tasso di risparmio, che secondo le proiezioni continuerà a diminuire nel 2023 e riprenderà modestamente nel 2024, sulla spinta di un’inflazione più bassa e di un aumento dei salari. Si prevede che le imprese utilizzino gli utili per finanziare nuovi investimenti, contrastando così gli effetti negativi dell’aumento dei tassi di interesse e delle condizioni di prestito più rigide. Sebbene siano stati gradualmente eliminati a partire da quest’anno, i crediti d’imposta per l’edilizia abitativa continueranno a sostenere gli investimenti in costruzioni e attrezzature connesse ancora per diversi trimestri.
In crescita i contratti a tempo indeterminato
Il documento fa poi notare che il numero di nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato è aumentato in misura maggiore rispetto a quello dei contratti a tempo determinato nel 2022 e all’inizio del 2023, a testimonianza delle prospettive fiduciose dei lavoratori, corroborate dai dati delle indagini. Questo fa presagire un’ulteriore crescita dei posti di lavoro, anche se si prevede che l’occupazione aumenti meno rapidamente del Pil. Poiché si prevede che la partecipazione al mercato del lavoro aumenti solo leggermente, il tasso di disoccupazione è destinato a diminuire nel 2023-24: le previsioni parlano di una discesa al 7,8% rispetto all’8,1% dell’anno precedente, per poi attestarsi al 7,7% nel 2024. Si prevede che la crescita dei salari riprenda un po’, dopo i modesti rinnovi contrattuali del 2022, poiché la contrattazione pluriennale incorpora gradualmente l’inflazione passata.
Inflazione in rallentamento
L’inflazione, spiega il paper, è destinata a rallentare quest’anno grazie al calo dei prezzi dell’energia che si ripercuote sui prezzi dei beni industriali, dei prodotti alimentari e infine dei servizi. Questa tendenza al ribasso dovrebbe continuare nell’orizzonte di previsione. La previsione di aumento dei salari per il 2024 è alla base della previsione di inflazione di fondo leggermente più alta.
Migliorano le prospettive fiscali
Nel 2022, il deficit pubblico è sceso all’8% del Pil, dal 9% del 2021. Entrambi i livelli includono l’impatto sull’aumento del disavanzo del nuovo trattamento statistico di alcuni crediti d’imposta per le ristrutturazioni edilizie, ora registrati come trasferimenti in conto capitale e per lo più maturati nel 2021-22. Nel 2022, il disavanzo primario è migliorato di circa 2 punti percentuali, attestandosi al 3,6% del Pil, anche grazie alla graduale eliminazione della maggior parte delle misure temporanee Covid-19 e nonostante le nuove misure di bilancio volte a mitigare l’impatto degli elevati prezzi dell’energia, con un costo netto del 2,5% del Pil. Per contro, la spesa per interessi è aumentata di quasi l’1% del Pil, soprattutto a causa della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione.
Le entrate fiscali hanno intanto continuato a beneficiare della forte crescita del Pil nominale e dell’impatto delle disposizioni passate volte a rafforzare la riscossione delle imposte, che hanno più che compensato la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro. Nonostante il rinnovo dei contratti salariali pubblici per il 2019-21, la spesa primaria totale è diminuita di circa l’1,4% del Pil, poiché i trasferimenti sociali sono aumentati meno del Pil nominale e la spesa in conto capitale è diminuita.
Disavanzo verso il 4,5% del Pil per l’eliminazione dei sostegni all’energia
Nel 2023, il disavanzo dovrebbe scendere al 4,5% del Pil, grazie alla parziale eliminazione delle misure di sostegno all’energia, che dovrebbero comportare un costo netto di bilancio dell’1% del Pil rispetto al 2,5% del Pil nel 2022, e all’ipotizzata completa eliminazione delle misure temporanee di emergenza Covid-19, stimate all’1,1% del Pil nel 2022. La spesa primaria è prevista in calo, anche grazie alla riduzione dei crediti d’imposta per i lavori di ristrutturazione delle abitazioni e ai risparmi ipotizzati da una nuova spending review, pari a 0,8 miliardi di euro (0,05% del Pil). Queste riduzioni sono solo in parte compensate dalla crescita della spesa pensionistica dovuta all’indicizzazione all’inflazione passata e da una ripresa degli investimenti, trainata anche dai progetti sostenuti dal NextGenerationEU.
Nel 2024, il deficit pubblico dovrebbe raggiungere il 3,7% del Pil. La completa eliminazione delle misure di sostegno all’energia e la riduzione della spesa per i consumi intermedi compensano l’aumento della spesa pensionistica. Per contro, la spesa per interessi dovrebbe aumentare leggermente, raggiungendo il 4,1% del Pil, soprattutto a seguito dell’aumento dei tassi di interesse all’emissione, mentre le imposte correnti dovrebbero crescere più lentamente del Pil nominale.
Tajani: “Senza lavoro non c’è libertà”
“Per il 2023-2024 si prevede una crescita”, ma “abbiamo bisogno di lavorare per ottenere buoni risultati”. “Siamo pronti ad esportare il nostro know-how. Questo è importante per noi, mettere sul tavolo tutte le conoscenze e lavorare insieme per tutti i cittadini dell’Unione – ha concluso Tajani -. Senza imprese non ci sarebbe lavoro e senza lavoro non ci sarebbe libertà”. Questo il commento del ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani, davanti all’analisi della Commissione europea.