“Se falliscono testate come il Wall Street Journal, il New York Times, la Cbs, o la Cnn, tutto il mondo ne parla. Se falliscono Buzzfeed o Gawker, non importa a nessuno”. Le parole di Ed O’Keefe, vice presidente della Cnn, riassumono meglio di altre il paradosso dell’attuale panorama globale dei media. I nomi storici dell’informazione globale rimangono ancora agli occhi del pubblico sinonimo di accuratezza e affidabilità delle notizie, ma i loro conti continuano a scricchiolare sotto il peso della crisi e del continuo incalzare delle nuove piattaforme digitali, come Buzzfeed, appunto, popolarissima negli Usa, che però, al pari di altre nuove testate nate dalla rivoluzione dettata dal web, non può (e forse nemmeno vuole) diventare una bussola imprescindibile per orientarsi tra miliardi di input di informazione che quotidianamente vengono proposti dalla Rete.
Di questo, e di molto altro, si è discusso a Roma nel convegno organizzato dal Centro studi americani, che sotto il titolo “The state and the future of media” ha raccolto nella capitale alcuni dei nomi più importanti del giornalismo statunitense. In platea, rappresentanti del panorama nazionale dell’editoria, interessati a raccogliere dalla voce dei protagonisti testimonianze sullo stato dell’industria dei media nel Paese che ha dato vita alla rivoluzione digitale.
Come ha ricordato l’ambasciatore Usa John Phillips nel suo intervento introduttivo, “una stampa libera, solida e prospera è fondamentale per ogni democrazia”. Come mantenerla solida e prospera, e quindi anche libera, è questione di non facile soluzione nell’era del web e dei social network, che hanno abituato il pubblico ad avere tutto subito e, soprattutto, gratis.
L’ottimismo di O’Keefe, secondo il quale ci troviamo di fronte ad “un’incredibile età aurea del giornalismo”, non è risultato privo di aspetti problematici, come quelli legati alla “dittatura” dell’utente, del lettore social: è lui a stabilire dove andranno le news companies. “E’ il consumatore a decidere”, sentenzia David Carr, firma storica del New York Times con oltre 460mila follower su Twitter.
Che poi i broadcaster televisivi o gli editori e gli operatori dei media sappiano esattamente qual è l’evoluzione futura, nessuno se l’è sentita di affermarlo. Non solo: nelle parole di Jeff Fager, presidente di Cbs News, “di sicuro la gente è devota ormai ai social media, che anche se non portano grossi ricavi pubblicitari a chi vi ricorre, sono molto ‘promozionali'” per la testata che li utilizza.
Per il direttore del Wall Street Journal, Gerard Baker, le chiavi vincenti per il successo di una testata, nell’impalpabilità del mondo digitale, vanno cercate nella “identità, specificità e distinguibilità” agli occhi del pubblico. Questo, in un’ottica ottimistica, come quella di Baker, che prevede una crescita nei “prossimi 10-20 anni” della domanda di informazione a livello globale.
Di qui la necessità da parte dei media di rendersi visibili e appetibili al pubblico, mai così numeroso nella storia, e per convincerlo a pagare l’informazione di qualità.
In uno dei vari panel, moderati tra gli altri da Linda Douglass, firma del giornalismo televisivo Usa e consorte dell’ambasciatore Phillips, è intervenuto anche il ceo di Bloomberg, Justin Smith, che ipotizza una logica ormai darwiniana negli anni a venire. Impossibile, per Smith, immaginare compiutamente il futuro dei media ma, sottolinea, l’importante è sperimentare e “agire per primi, o qualcun altro agirà prima di te”, senza avere paura di sbagliare.
Anche in piena rivoluzione digitale, “non c’è un cambiamento della missione del giornalismo rispetto ai media tradizionali”, ha detto Smith all’Adnkronos durante una pausa del convegno: “Ci sono tecniche diverse, ma la missione principale del giornalismo, controllare le istituzioni, è ben viva anche nei media digitali”.
Quanto alle agenzie di stampa, per il ceo di Bloomberg “hanno ancora un ruolo importantissimo, ma la vera domanda è come sapranno evolversi nell’era digitale”. Per Smith, le agenzie, che rimangono uno dei pilastri sui quali poggia l’intera industria dell’informazione, “forse inizieranno a raccontare storie in maniera più allineata ai comportamenti e agli interessi dei consumatori”. In sintesi, “il modello delle agenzie persisterà, ma il prodotto dovrà evolversi e, per molti versi, è già cambiato”.