IL REPORTAGE

Emirati Arabi, burocrazia zero e innovazione: una Silicon Valley nel Golfo Persico

Il Paese medio-orientale è la patria di resort e centri commerciali. Ma oltre a questo c’è un potente ecosistema digitale che attrae cervelli e startup a suon di hackhaton, acceleratori e ingenti investimenti pubblici

Pubblicato il 06 Dic 2016

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DUBAI – Da Paese dei resort da mille e una notte affacciati sul mare e dei centri commerciali a Silicon valley del Golfo persico. Gli Emirati arabi uniti hanno abbracciato pienamente la rivoluzione digitale e da qualche tempo sono diventati un modello per il Medio oriente e non solo, piazzandosi ai primi posti nel ranking internazionale per investimenti in nuove tecnologie.

Un percorso iniziato nel 2008 e portato a maturazione negli ultimi due anni, grazie ai sostanziosi stanziamenti pubblici e privati effettuati nell’Ict per compensare in qualche modo il crollo del prezzo del petrolio.

E la strategia ha dato i suoi frutti: nel 2016 per la quinta volta gli Emirati arabi si sono collocati in cima alla classifica del World Economic Forum entrando nel novero delle 20 migliori economie mondiali e superando Paesi come Francia, Belgio e Regno Unito.

Proprio a Dubai, pochi giorni fa, si è tenuta la cerimonia di chiusura della settimana dell’Innovazione. Per circa 7 giorni studenti universitari, startupper e imprese affermate si sono sfidati a colpi di hakathlon e competizioni, presentando e discutendo progetti innovativi applicabili in molteplici settori: dalla medicina alla finanza alle smart city.

Statistic: United Arab Emirates: Gross domestic product (GDP) per capita from 2010 to 2020 (in U.S. dollars) | Statista


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Un evento che è stata anche occasione per il Governo di tracciare un bilancio su quanto fatto fino a oggi a sostegno dell’innovazione. Dal 2008 al 2014 lo Stato ha investito 20 miliardi di Dirham (circa 5 miliardi di euro al cambio attuale, ndr) nelle nuove tecnologie spaziali e altri 1,4 (900 milioni in euro) in vari progetti per la modernizzazione delle infrastrutture Ict.

Un mercato dinamico che ha assistito a una crescita a vista d’occhio delle startup hi-tech, anche grazie ai numerosi incubatori presenti sul territorio e ai fondi d’investimento privati che in genere scommettono sui nuovi progetti cifre tra i 50 e i 100 milioni di dollari come minimo.

Ai tre acceleratori storici d’impresa, Turn8, ImpactHub e Astrolabs Dubai (quest’ultimo è uno dei pochi a collaborare in via diretta con Google), recentemente poi se n’è aggiunto un terzo quest’estate: il Dubai Future accelerator, creato dalla Fondazione Future Dubai. Alle sue porte hanno da settembre a oggi bussato oltre 2mila startupper da tutto il mondo, passando la selezione solo in 30.

Segno che il Paese attira cervelli e capitali. A giocare dalla sua parte anche una burocrazia snella, come ha ricordato oggi all’”Avaya Engage” in corso a Dubai Farid Farouq, capo dell’Ict del World trade center di Dubai. “Qui un visto per lavoro si ottiene in pochi giorni, al contrario della maggior parte degli altri Paesi – ha sottolineato – e i servizi ai cittadini sono quasi tutti automatizzati: questo piace molto alle imprese”.

Non è un caso che la stessa Avaya, multinazionale del software, abbia scelto proprio Dubai come location del suo evento “Engage 2016”, portando qui circa 1500 persone, tra rappresentanti dell’industria e addetti ai lavori. Anche questo un chiaro segnale che le aziende Ict sono ormai di casa.

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