Non c’è solo l’efficienza energetica e la scalabilità della potenza a misura delle esigenze future, dietro il progetto del Green Data Center di Eni – circa 7mila server e sistemi di high performance computing con potenza di 3 PetaFlops -, ma anche l’intento di sperimentare e impadronirsi prima di altri delle tecnologie software più promettenti e innovative, tra le quali il cognitive computing. Ad esso e all’elaborazione dei big data la società petrolifera ha deciso di dedicare un proprio team di studio denominato W@eni, trasversale rispetto alle funzioni aziendali. “Il cognitive computing è una grande promessa”, ha spiegato Gianluigi Castelli, executive vice president Ict di Eni al convegno “Ibm Watson, la nuova frontiera del cognitive computing” organizzato con Ibm questa mattina nella sede di San Donato. “Questo perché consente di operare anche nelle situazioni che non conosciute a priori, realizzando ciò che J.E.Kelly III nel suo libro Smart Machines preconizza come una possibile partnership tra l’essere umano e il computer grazie anche alle capacità dell’interazione in linguaggio naturale, senza i formalismi dell’informatica”.
Nato da un progetto di ricerca di Ibm lanciato nel 1997, Watson è un sistema cognitivo progettato per formulare risposte a domande libere che funziona in base all’elaborazione e classificazione di informazioni non strutturate di pubblico dominio o private sfruttando algoritmi di auto-apprendimento. “A differenza di un comune motore di ricerca, funziona in linguaggio naturale, senza che l’utente debba identificare keyword – ha spiegato Alfio Gliozzo, ricercatore e tecnical leader presso l’Ibm Watson center di New York -. Questo sfruttando capacità di analisi del linguaggio con ontologie, categorie, semantica e quindi richiamando e scartando grandi quantità di dati, sulla base della coerenza di contesto e della affidabilità, per arrivare a formulare risposte plausibili”. Nel 2011 Watson ha raggiunto l’abilità sufficiente per battere concorrenti umani nel gioco televisivo Usa Jeopardy! Più recentemente Ibm ha ritenuto che la tecnologia fosse matura per un salto avanti, diventare la base di innovative applicazioni tra le quali l’advisoring sanitario, bancario, assicurativo, grazie alla capacità del sistema di aiutare i “colleghi” umani nell’ottenere risposte alle loro domande analizzando in tempi rapidissimi l’enorme mole delle informazioni medico scientifiche, finanziarie e di rischio disponibili.
Un paio d’anni fa Watson ha lasciato i laboratori per avviarsi verso un percorso di sviluppo commerciale. A fianco delle sperimentazioni avviate con grandi aziende (tra cui alcune telco Ibm sta oggi incentivando startup e altre realtà in grado di sviluppare applicazioni verticali. A gennaio sono circa 700 le società registrate al Watson ecosystem che sfruttano le capacità della piattaforma cognitiva in cloud. “Watson è una tecnologia con grandissime implicazioni – ha spiegato Nicola Ciniero presidente e amministratore delegato di Ibm Italia – che richiedono uno sforzo in più nella formazione delle persone e dell’industria per adegursi a ciò che sarà prevedibilmente possibile fare tra qualche anno in ambiti molto diversi”.
Ibm ha attivato dal 2012 una collaborazione con l’Università di Trento sul tema della semantica di Watson, nel luglio scorso anche con il Politecnico di Milano per formare ragazzi sui temi dei big data e di Watson. “Si sta aprendo una nuova frontiera per nuove applicazioni che sfruttano grandi quantità di dati nel retail, nella security… Watson sarà il futuro browser intelligente. E’ anche il frutto dell’intelligenza di ricercatori e pionieri italiani nell’uso del computer per l’analisi semantica”. Con il programma W@Eni appana lanciato, Eni intende comunicare ai responsabili IT e delle linee di business le possibilità tecniche di Watson. “il nostro scopo è sperimentare ambiti possibili di applicazione e poi vedremo quale può garantire ritorni elevati e quindi realizzare progetti”, ha precisato Castelli.