L’importo del prelievo dovuto per la realizzazione di copie private di un’opera protetta non può tener conto delle riproduzioni illegali. Lo stabilisce una sentenza della Corte Ue secondo cui “il fatto che non esista alcuna misura tecnologica applicabile per contrastare la realizzazione di copie private illegali non rimette in discussione tale constatazione”. Una decisione quella della Corte che potrebbe dare un colpo di acceleratore al decreto sull’equo compenso che aggiorna il “listino” Siae in attesa di essere varato dal titolare del Mibact, Enrico Franceschini.
Nei giorni scosri il ministero aveva annunciato una decisione in tempi rapidi. “Dobbiamo mettercelo tutti in testa, perché in Italia questa consapevolezza non c’è – diceva – il diritto d’autore è quello che consente la libertà all’ artista, quello che gli garantisce il suo spazio di creatività. Il diritto d’ autore è stato uno dei temi centrali dell’ incontro della scorsa settimana dei ministri della Cultura dell’ Ue ed è in cima all’ agenda europea, perché tutte le nuove tecnologie comportano questioni attinenti il diritto d’ autore”.
Tornando alla sentenza Ue, questa sottolinea che, se gli Stati membri disponessero della facoltà di adottare una normativa che consenta, tra l’altro, la realizzazione di copie private a partire da una fonte illegale, ne risulterebbe, con ogni evidenza, un pregiudizio al buon funzionamento del mercato interno.
Allo stesso modo, la diffusione della cultura non può essere veramente promossa se non proteggendo rigorosamente i diritti d’autore e lottando contro le forme illegali di messa in circolazione di opere culturali contraffatte o riprodotte abusivamente.
“Pertanto la Corte statuisce che non può essere tollerata una normativa nazionale – legge nel provvedimento – che non distingua in alcun modo tra le copie private realizzate a partire da fonti legali e quelle realizzate a partire da fonti contraffatte o riprodotte abusivamente”.
Infatti, da un lato, ammettere che siffatte riproduzioni possano essere realizzate a partire da una fonte illegale incoraggerebbe la circolazione delle opere contraffatte o riprodotte abusivamente, diminuendo così necessariamente il volume delle vendite o delle altre transazioni legali relative alle opere protette, di modo che sarebbe pregiudicata la normale utilizzazione. D’altra parte, l’applicazione di una siffatta normativa nazionale può comportare un pregiudizio ingiustificato per i titolari di diritti d’autore.
Peraltro la Corte ricorda che spetta allo Stato membro che ha autorizzato la realizzazione di copie private garantirne la corretta applicazione e limitare gli atti non autorizzati dai titolari di diritti.
Secondo il supremo trobunale una normativa nazionale “che non fa distinzione tra le copie private legali e quelle illegali non garantisce una corretta applicazione dell’eccezione per copia privata. Il fatto che non esista alcuna misura tecnologica applicabile per contrastare la realizzazione di copie private illegali non rimette in discussione tale constatazione”.
Inoltre il sistema di prelievo deve mantenere un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi degli autori (in quanto beneficiari dell’equo compenso) e quelli degli utenti dei materiali protetti.
“La decisione è molto rilevante perché boccia senza appello il concetto che il download illegale o il file sharing costituiscano una riproduzione privata e quindi risarcibile con un equo compenso – commenta Enzo Mazza presidente della Fimi – Abbiamo sempre contestato come Fimi tale indirizzo, peraltro contrario anche al famoso parere Vitorino commissionato dalla Commissione Eu ed è in linea la normativa applicata in Italia. Il quadro legislativo olandese di fatto aveva legittimato il download illegale a fronte di un piccolo compenso con grave penalizzazione dei servizi legali di musica e del mercato legale dei contenuti online, una sorta di licenza legale che giustamente la Corte europea ha bocciato”.
Di tutt’altra opinione l’avvocato Fulvio Sarzana, esperto di diritto di internet, secondo cui “l’entità complessiva di ciò che viene assoggettato all’equo compenso risente dell’incertezza su cosa sia effettivamente copia legale e copia illegale, il che significa che l’entità di quanto dovuto può aumentare a dismisura giocando sull’equivoco copia privata=copia illegale=copia autorizzata”.
“Ciò accade in moltissimi casi durante la verifiche effettuata dalla Siae – spiega – Ecco perché Anitec e gli altri propongono di stabilire con precisione se l’archiviazione nei devices digitali sia da considerare o meno copia privata e che le caratteristiche della copia privata vengano stabilite da una Commissione tecnica imparziale.
Per Sarzana “l’ammontare dell’equo compenso si dovrebbe ridurre, dopo la sentenza della Corte, riducendosi la base da cui calcolare l’equo compenso”.
“Se invece Franceschini varerà l’aumento cosi come proposto, avremo un aumento esponenziale enorme – conclude – Che, oltretutto, non si basa su una distinzione certa fra copia legale ed illegale, ed in questo modo, oltre a generare aumenti nei confronti dei consumatori, si accollerebbero ai produttori e distributori anche i costi della pirateria”.