Eredità digitale, Cambareri: “La proposta dei notai pronta entro il 2015”

Parla il componente del Consiglio nazionale del Notariato: “Siamo l’unica categoria di professionisti paperless in Italia e abbiamo anticipato gli obiettivi dell’Agenda digitale. Altri Paesi europei prenderanno spunto dal nostro lavoro”

Pubblicato il 06 Feb 2015

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È stato proprio il Notariato a promuovere il tavolo di lavoro congiunto che a dicembre ha riunito avvocati, docenti universitari e multinazionali dell’Iinformation Technology. Ed è con Domenico Cambareri, membro del consiglio nazionale del Notariato, che il CorCom ha parlato per conoscere più nel dettaglio le iniziative che sono state messe in campo per affrontare i temi dell’identità e dell’eredità digitale. La prima cosa rivendicata da Cambareri è il ruolo attivo della categoria nello spingere il Paese verso l’innovazione. “Ci troviamo qui perché siamo costantemente al servizio del cittadino, perché la Costituzione impone che i nostri strumenti siano sempre aggiornati, al divenire della società contemporanea, e quindi all’evoluzione tecnologica – dice Cambareri – Forse pochi lo sanno, ma proprio grazie all’informatica, siamo oggi in Italia l’unica professione completamente paperless, che ha anticipato gli obiettivi dell’Agenda digitale. Sui temi dell’identità e dell’eredità digitale abbiamo preso coscienza già dal 2007”.
Il primo mito da sfatare: il notaio non è un professionista all’antica.
No, e non lo è mai stato. Il notaio lavora da sempre a contatto diretto e immediato con il cittadino e con l’impresa. Per servire i nostri clienti sono necessari aggiornamenti quotidiani, impossibili senza l’ausilio della tecnologia. E abbiamo preso questo impegno molto seriamente, forse più di altre categorie, tant’è che abbiamo creato una società informatica, Notartel, che lavora per noi in maniera esclusiva e sulla quale abbiamo investito finora 20 milioni di euro. I nostri sistemi di storage sono talmente sicuri ed efficaci che abbiamo persino avuto la tentazione di accettare richieste per la conservazione di dati sensibili di terze parti. Speriamo che la PA adotti presto strumenti simili, altrimenti credo proprio che renderemo disponibili i nostri.
Non è soltanto una questione tecnologica: i vostri interlocutori sono molto spesso aziende che hanno tutt’altra impostazione sul piano del diritto…
C’è la volontà comune di trovare soluzioni, e questo è un elemento fondamentale. È vero: negli Usa c’è una certa avversione alla regolazione normativa, mentre i Paesi europei sono decisamente più disponibili. Ma possiamo già dire di essere soddisfatti proprio perché ci siamo seduti allo stesso tavolo confrontando due mentalità diverse per arrivare al medesimo obiettivo: creare un protocollo per permettere ai cittadini italiani di risolvere problemi di eredità digitale legati a dati o a beni intangibili, ovunque essi siano immagazzinati, interagendo in modo semplice ed economico con i service provider.
La sensazione è che il progetto sia persino troppo all’avanguardia… Esiste nell’opinione pubblica una sensibilità al riguardo?
Ci siamo resi conto in effetti che in qualche misura siamo più avanti rispetto allo spirito del tempo. È prima di tutto necessario intraprendere una campagna di sensibilizzazione per far comprendere quanto in alcune circostanze, letteralmente, si buttino via i propri dati. A mio parere, oltre all’interesse di categoria, c’è in ballo quello dell’intero corpo sociale ed economico.
L’esperienza mira a essere nazionale o volete coinvolgere gli altri membri dell’Ue?
L’obiettivo è produrre un risultato in Italia entro agosto 2015. I colleghi degli altri capitoli nazionali sono comunque pronti, e condividono con noi risorse e idee attraverso il Council of notaries of the European Union (Cnue). È dunque probabile che l’iniziativa venga accolta anche da altri Paesi.

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