La settimana della conferenza europea e leadership sulle competenze digitali Ket coincide con lo stato di agitazione dei lavoratori del settore dei vendor, dalla finlandese Nokia-Alcatel alla svedese Ericsson. Alla sua terza ristrutturazione al 2011, l’azienda di Stoccolma intende licenziare 166 lavoratori di Agnanina a Roma e di Arese (dopo i 335 del 2013) che per protesta sciopereranno il prossimo 8 giugno.
A Bruxelles si chiede alle professionalità chiave abilitanti le tecnologie, per esempio nel manifatturiero avanzato, una “mobilità europea”, vale a dire la capacità degli addetti di spostarsi professionalmente tra le diverse aree e fasi innovative. E una parallela capacità degli uffici personale di gestire questo “traffico di competenze”. A Roma prevale la mobilità italiana della legge 22391, rinvigorita dal Jobs Act. Termini come Ket alludono alla ricerca avanzata ma rischiano di vedere come cavia di laboratorio la vita ordinaria immersa nel cambiamento perenne della crescita centuplicata di consumo e business digitale e dello stress di fornitori ed addetti nelle fabbriche, stazioni radio e reti.
Ci vogliono nuove relazioni industriali, 2.0 o 3.0, perché i Ket diano quel miglioramento dei tassi di crescita, competitività e occupazione sperato dalla Commissione. Il 2015, presentato come anno del dialogo sociale e del mercato digitale, è finora quello dei blocchi della produzione, dei referendum negativi, dei presidii, delle manifestazioni, delle ore e ore di sciopero. Non solo nell’Italia di Marcianise, Roma, Vimercate e Trieste ma anche nella Stoccolma dei 2200 licenziandi o nella Finlandia incredibilmente in recessione. I già diecimila lavoratori italiani dei due brand si sono dimezzati. Alle ristrutturazioni Ericsson corrispondono i licenziamenti via email in Nokia o il doloroso Shift Plan Alcatel che venne salutato all’inaugurazione della sede dell’Energy Park di Vimercate con un cimitero simbolico di croci di legno, numerose quanto i lavoratori a rischio (un mese fa l’ultimo accordo di cassa integrazione).
L’Europa non vede di essere grazie a Ericsson e Nokia-Alcatel leader con il 57% del mercato mondiale e 3,5 miliardi di clienti nel cruciale settore delle infrastrutture di rete e del broadband mobile LTE. Leader di codici etici, i vendor (in Italia con Ccnl telefonico e metaleccanico) da antesignani dei comitati aziendali europei (1993 Nokia, 1995 Ericsson, 2000 Lucent, 2006 Alcatel, 2011 ST Ericsson, 2014 Microsoft ereditato dall’ex Cae Nokia per 560 lavoratori del mobile) sono passati al rifiuto di qualunque trattativa nell’eclissi del dialogo sociale onorato negli anni ’90.
Purtroppo i vendor, anche se multinazionali, non sono divenuti Società Europea secondo le norme dell’Unione ed i Cae, spesso volontari o imposti dal governo non sono soggetti né alla nuova direttiva 2009/38 nè alle leggi nazionali. Nessun seguito per la sentenza della cassazione francese del 2008 che bloccò una fusione in nome del diritto dei Cae alla partecipazione. Fusioni e ristrutturazioni perdono per strada i Cae originari. I vendor dovrebbero essere un esempio di valorizzazione dei Ket, del mercato digitale e del dialogo sociale. Invece un colosso come Ericsson, che doppia il competitor più vicino con il 40% del mercato mondiale, 40 miliardi di capitalizzazione, 37 di fatturato e 187mila occupati nei 5 continenti si impegna in un piano di esuberi triennale che se le fa risparmiare un miliardo diretto, rischia di fargliene perdere di più, senza giustificazioni di crisi interne. Discorso che vale anche per l’immediato competitor Nokia, 17% quota mercato, capitalizzata a 30 miliardi, fatturato 24, 114mila dipendenti.
Entrambe subiscono la pressione del gossip finanziario, che dopo l’acquisizione di Nokia della francese Alcatel per 16,6 miliardi ha previsto il calo del business mobile e risventolato il “rischio sorpasso” della cinese Huawei, sempre annunciato, mai avvenuto. Al di là delle critiche per aver rinunciato all’affaire Alcatel e per preferire piccole acquisizioni, la vera accusa contro Ericsson è in fondo la stasi dei suoi fatturati, sempre uguali da 3 anni, non a caso premiati da Gartner da 6. Non bastano gli ottimi risultati, ci vogliono i record. L’immediata proporzionalità tra utili e raddoppi di miliardo in miliardo degli smartphone; tra guadagni azionari e l’espansione in exabytes del traffico mobile video sulle reti nella convergenza degli schermi. Tra i e le drammatiche ed improvvise discese e risalite dei brand. Si spinge sul conflitto fisso-mobile, tra un device connesso e l’altro ed ovviamente tra virtualizzazione e lavoro umano da supermen, non per il consumatore ma per il cambiamento che muova danaro.
Illuminante l’esempio della concorrenza tra l’inaugurazione del nuovo campus romano Ericsson Cloud Lab per la virtualizzazione di reti e servizi ed il licenziamento degli addetti della ricerca e sviluppo. L’Europa è terrorizzata dalla stasi digitale, anche perché consuma più di produrre la sua digitalizzazione quotidiana dell’80% dell’economia e del 90% del lavoro. Invece di sostenere i ket del lavoro di qualità, nella rassegnazione per il calo di quello generico, preferisce la mobilità italiana a quella europea già difficilissima da applicare.
Un più che decennale lavoro di comitati euro-universitari dell’E-cf (European competence framework), ha individuato 40 competenze e 23 profili professionali digitali. Non sa però come premiare i Developer, Digital Media Specialist, Network Specialist, ecc. che un contratto avanzato, come il nuovo CCNL commercio, traduce all’art.100 bis, nel consueto 4° livello, con i responsabili Chief Information Officer non oltre il 1°. Dove già stavano nelle comunicazioni obbligatorie dei preesistenti database Esco ed Nace- Ateco. Nessun riguardo per il clima deteriorato tra gli addetti dei vendor del 5G, anche se da primato, né per gli unici eleader esistenti, quel 5% di skillati, un milione del totale dei lavoratori europei, insostituibili dai piccoli imprenditori startupper. Né a PricewaterhouseCoopers cui la DG Ricerca europea ha affidato il report Ket, è venuto in mente di sentire i Cae digitali.
Nel futuro della crescita massiva di sistemi di pagamento, comunicazioni macchina a macchina, Internet delle cose e connected automotive, c’è l’Europa che gestisce da remoto il 65% dell’Lte mondiale oppure un’Europa gestita da altri in remoto. Tutto dipende a trovarli i Ket, sulla capocchia di spillo del calante numero di addetti cui sono affidate le tecnologie della virtualizzazione.