Il giro d’affari dello shopping on line cresce del 19% all’anno e si stima che nel 2015 raggiungerà circa 1,9 trilioni di dollari a livello globale. La percentuale di persone che hanno acquistato almeno una volta online è pari all’83% in Nord America, all’81% nell’America Latina e all’85% in Europa ed Asia. Più del 50% della popolazione online ha effettuato almeno due acquisti in rete. Sono i dati raccolti dal Global Trends on Online Shopping, citati dall’ultimo rapporto Eurispes “Commercio on line, una storia di successi”.
Tante le motivazioni che spingono verso questo tipo di spesa: permette di risparmiare tempo (73%), maggiore scelta dei prodotti (67%), facilità nella comparazione dei prezzi (59%), nessuna fila (58%) e prezzi più vantaggiosi (55%). Ma che cosa si compra? Al primo posto ci sono i libri (44%), seguiti dall’abbigliamento (36%), dai biglietti aerei (32%), dagli oggetti di elettronica di consumo (27%), dalle prenotazioni degli hotel (26%).
In Italia, il valore delle vendite da siti italiani di e-commerce ha generato nel 2011 8,141 miliardi di euro segnando un incremento del 20% su base annua.
Un utente su quattro, tra chi dichiara di avere acquistato online negli ultimi tre mesi, lo ha fatto più di cinque volte. Percentuali ancora più alte se consideriamo le abitudini degli utenti iscritti alle newsletter: 8 su 10 hanno acquistato online negli ultimi tre mesi e tra questi quasi la metà (46%) ha effettuato più di 4 acquisti.
Nell’osservazione del caso italiano i dati rivelano anche che la fascia di età della internet economy è compresa tra i 40 e i 49 anni e che, La diffusione dei prodotti cresce del 24%, un valore maggiore rispetto ai servizi che aumentano del 18%, ma che rappresentano a livello aggregato i 2/3 del mercato e-commerce.Gli acquirenti online sono stimati in 9 milioni in crescita del 7% con una spesa media superiore a 1.000 euro su base annua.
Alla distruzione di business reali, come ad esempio la chiusura di attività commerciali piccole e indipendenti, si contrappone la libera iniziativa di attività virtuali, i cui investimenti iniziali possono essere abbattuti nella maggior parte dei casi grazie alle economie di scala derivanti dai processi di outsourcing in atto e dal leverage tecnologico. Così fare shopping diventa un gioco: la ricerca continua di esperienze ed emozioni, l’interesse verso beni e servizi e la propensione alla non rinuncia, nemmeno in tempi di crisi, costituiscono i pilastri su cui si muovono gli operatori per attrarre sempre più consumatori. Ad attirare all’acquisto sono principalmente lo sconto elevato (81%), l’offerta chiara (48%), il desiderio di una esperienza nuova (35%) o l’opportunità per un regalo (35%), la reputazione del partner (29%) e la fiducia nel sito (19%).
L’evoluzione del sistema, così come nel più “tradizionale” e-commerce, passa per l’integrazione con i media sociali, Facebook e Twitter: l’opinione dell’amico conta ed i social network costituiscono l’amplificatore naturale del messaggio pubblicitario dell’affare in questione.
Come ha rilevato l’indagine di Netcomm i siti e-commerce italiani stanno testando o almeno considerando i social network come nuovo canale per raggiungere i clienti, anche se ancora i social network sono usati in modo superficiale dalle aziende e-commerce italiane. Negli Usa, invece, come indica eMarketer, siamo agli inizi di un fenomeno di cui si prevede una crescita esponenziale. La strada da fare per sfruttare i social media in chiave e-commerce è ancora lunga, ma l’inizio è promettente. Gli americani compreranno, secondo le stime di Booz & Companye, prodotti tramite social network per 3 miliardi di dollari quest’anno, contro 1 miliardo del 2011 e 14 miliardi previsti per il 2015.
Questi dati, sottolineano i ricercatori Eurispes, impongono una serie di considerazioni che riguardano le conseguenze sul piano dei codici etico e comportamentale. È infatti evidente come lo sviluppo del commercio elettronico rafforzi l’idea critica del “consumo permanente”, per usare una categoria di Bauman. Sembra concretizzarsi, infatti, un’azione sempre più istantanea e transnazionale che pone i beni e servizi al centro dell’esistenza umana.
Una simile concezione, fine a se stessa e avulsa da qualsiasi considerazione etica, pone dei rischi in termini di autonomia decisionale dei singoli individui. La cultura non è rimasta estranea a queste novità ed è divenuta uno dei tanti scaffali da riempire di questo enorme “centro commerciale”.