C’è chi si è inventato un’applicazione che permette di ordinare online il proprio menù e arrivare al ristorante prescelto vedendosi accogliere con il piatto già pronto, senza dover così perdere tempo in interminabili attese, quando magari si deve tornare di corsa in ufficio. C’è chi, invece, grazie all’invenzione di una nuova molecola, è in grado di proporre bevande senza alcool, che al palato, però, presentano le stesse caratteristiche organolettiche di quelle alcooliche. Chi si è messo in testa di realizzare smart box con prodotti tipici italiani, assemblati da chef professionisti, un souvenir gastronomico del made in Italy di qualità, che i turisti possono poi trasformare in un piatto pronto da cucinare una volta tornati a casa. Poi ci sono quelli che hanno scelto di rivolgersi a una ristretta platea d’intenditori di vino e che hanno messo in piedi una piattaforma di e-commerce, per l’acquisto di etichette d’eccellenza di produttori locali.
Il variegato mondo delle startup del Food sta ampliando i suoi confini. Una tendenza, registrata di recente nei maggiori e più rappresentativi incubatori d’impresa del nostro Paese, dove il settore agro alimentare è guardato con sempre maggior attenzione da chi vuole fare impresa innovativa.
“Il Food sta esprimendo in questo momento nuove realtà imprenditoriali interessanti. Nell’ultimo mese, delle 11 startup incubate ben 5 gravitavano attorno al comparto del cibo”, conferma Francesco Saviozzi, tutor di Speed Me Up, incubatore di startup dell’Università Bocconi. Stesso trend si riscontra in Luiss Enlabs, acceleratore d’impresa della Luiss. “Diverse startup del food sono presenti nel nostro programma”, racconta Luigi Capello, direttore di Luiss Enlabs “si rivolgono a nicchie di mercato e sono tutte molto innovative”.
Stessa situazione in Unipol Ideas, l’incubatore del Gruppo Unipol, che nella sua ultima sessione ha “dato alla luce” ben due startup del food su un totale di 8 imprese incubate. Numeri che raccontano, quindi, una tendenza. Sebbene non si sappia ancora fino a che punto duratura.
Saviozzi è ottimista e pensa che sia più di una moda. “Questa è una fase di entusiasmo, ma non credo che si smonterà nel tempo. Il nostro Paese ha bisogno di reinventare modelli d’imprenditorialità soprattutto sui segmenti specifici che ci caratterizzano. E il Food è uno di quelli.”
A risvegliare la curiosità per questo settore, fino a ieri rimasto ai margini, sono stati principalmente due fattori: l’avvicinarsi dell’Expo, la grande fiera dedicata al cibo e all’alimentazione, una vetrina alla quale ambiscono molti giovani startupper, ma anche i recenti casi di successo che hanno visto protagoniste negli ultimi mesi le startup del Food italiane, alcune al centro di un vero e proprio risiko internazionale.
L’indiana Zomato ha acquisito per 6 milioni di dollari l’italiana Cibando, mentre i tedeschi di Rocket Internet si sono portati a casa la bolognese Pizzabo e il gigante statunitense Tripadvisor ha messo le mani su due “gioiellini” made in Italy della prenotazione online di ristoranti: Mytable e RestOpolis.
Eppure alla base della riscoperta del settore eno-gastronomico non c’è solo il favorevole attuale scenario di mercato. Anche le caratteristiche di questo business, per sua natura più agile e snello, giocano un ruolo importante. “I cicli d’incubazione delle startup del Food sono molto più brevi, se paragonati a quelli d’imprese che operano in altri settori. Nel giro di un anno è già possibile lanciare un progetto o un servizio, contro i due anni e oltre di media che caratterizzano altri comparti”, spiega Saviozzi.
Rispetto alle imprese dell’agro alimentare tradizionali, completamente capovolte appaiono le priorità d’investimento. “Il paradigma è invertito – fa notare Capello -: mentre le vecchie attività del settore agro alimentare investono soprattutto nella logistica, le startup prediligono comunicazione e marketing”. E ovviamente digitale, vera leva di sviluppo per questa tipologia d’impresa.
“Quanto ai piani industriali, in questo ambito si possono attuare nell’arco di 3/5 anni per arrivare già a un primo livello di consolidamento del business”. Certo, poi c’è il problema del venture capital, ossia l’apporto di capitale esterno che permette di crescere e prendere il largo. “In Italia si scommette soprattutto sulle piattaforme di ristorazione, che attirano investimenti con più facilità anche perché il ritorno economico è più immediato”, analizza Saviozzi, “In America, invece, si è più propensi a investire sull’innovazione di prodotto”. Insomma, in Italia vanno per la maggiore startup orientate all’offerta di servizi nel campo del Food. E, difatti, spulciando nell’elenco delle realtà imprenditoriali incubate negli acceleratori d’impresa, il trend sembra essere proprio questo. Pochi prodotti innovativi, molti servizi, tutti rigorosamente pensati da giovani under 35, magari sulla base delle loro personali esperienze di vita. Nicole Sylvia Bouris, appena 21 anni, studentessa della Bocconi, insieme a due amici “nerd” ingegneri ha realizzato un’applicazione, “Praesto”, che consente di arrivare al ristorante e trovare il piatto già servito, potendolo ordinare e pagare online con carta di credito.
“Un servizio che viene incontro proprio a gli studenti come noi, ma anche a professionisti e impiegati che hanno poco tempo da dedicare alla pausa pranzo”, spiega Bouris. Il lancio ufficiale avverrà a maggio in coincidenza dell’apertura dell’Expo. L’idea ha già riscosso consensi tra diversi ristoratori milanesi, che stanno pensando di avviare convenzioni con la startup. Alessandra Rota, 30 anni, anche lei bocconiana, nello stesso periodo lancerà My Cooking Box, dei box che contengono ricette esclusive e ingredienti selezionati di alto livello, ovviamente italiani. “Il nostro target sono i turisti luxury”, spiega Rota. I progetti commerciali sono pronti. Ora tocca aspettare la risposta del mercato.
MILANO
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Pubblicato il 24 Apr 2015
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