Mentre nelle strade infuria la protesta di studenti e antagonisti contro l’inaugurazione dell’Esposizione universale di domani, Milano vive il conto alla rovescia della vigilia preparandosi ad accogliere l’evento forse più impegnativo che l’Italia abbia mai organizzato finora: un miliardo di euro di investimenti esteri, 145 Paesi partecipanti, 20 milioni di ospiti attesi lungo un intero semestre con punte di 250 mila presenze giornaliere e un’offerta di servizi innovativi, fuori e dentro l’area espositiva, che catapulta la città nel novero delle aree più digitalmente sviluppate d’Europa, fino a ottobre sotto i riflettori dell’opinione pubblica mondiale. Eppure, infuria la protesta. Forse perché gli stessi milanesi non sono ancora bene al corrente di quello che sarà Expo, e soprattutto di quello che è già stato in qualità di motore del progresso cittadino. Dal punto di vista urbanistico e infrastrutturale, certo, ma anche rispetto ai molti beni intangibili e alle buone pratiche a cui hanno dato vita aziende locali, multinazionali, enti locali e centrali, startup e università, in un’inedita modalità di cooperazione che ha saputo superare gli interessi particolari creando modelli di business condivisi e di condivisione.
Si tratta di una lezione che, se interiorizzata, potrebbe generare in futuro un effetto domino sull’asse del tempo e su quello dello spazio, propagandosi in tutta Italia e generando nuovi processi di sviluppo a cavallo di pubblico e privato. Un aspetto probabilmente non preso in considerazione o sottovalutato dall’economista Roberto Perotti, che giusto un anno fa analizzava il rapporto tra costi e benefici legati alla manifestazione in sé, giungendo alla conclusione che le ricadute sul tessuto sociale ed economico di Milano sarebbero state più rilevanti se l’Expo non ci fosse stato affatto.
Ma la protesta infuria, forse, anche a causa di un’informazione che, nella migliore tradizione italiana, si è soffermata sui punti di domanda e sulle insinuazioni anziché provare a raccontare ciò che – al netto, ricordiamolo, delle questioni di corruzione e malaffare – veniva costruito. Penso per esempio alle tante polemiche scoppiate dopo il caso Giardiello, l’uomo che qualche settimana fa in pieno giorno ha ucciso tre persone all’interno del tribunale di Milano. Gli sguardi e le preoccupazioni di tutti – media compresi – si sono naturalmente rivolti all’imminente Expo, con un interrogativo fisso: la sicurezza. Ci saranno poliziotti e vigilantes in quantità adeguata per garantire l’incolumità dei visitatori? Ebbene, non ricordo di aver letto da nessuna parte che la security dell’evento, oltre a poter contare sull’indispensabile fattore umano, è affidata al sistema elaborato da Selex ES, che con un apparato tecnologico senza eguali al mondo ha disseminato per l’area espositiva migliaia di telecamere, sensori e terminali – più decine di field operator – orchestrati 24 ore su 24 da un centro di controllo di ultima generazione gestito in collaborazione con la polizia locale di Milano.
La scarsità di consapevolezza su cosa e come sarà realmente Expo, però, non riguarda solo le informazioni di natura tecnica. Stamattina ho incontrato un caro amico, un ingegnere aerospaziale che adesso lavora in Germania ma che continua ad aggiornarsi attentamente su ciò che succede in Italia e specialmente a Milano, visto che è a Milano che ha vissuto fino all’anno scorso. Mi ha chiesto: “Ma in definitiva, a che serve l’Expo, faranno vedere il cibo?”. Quando gli ho elencato in breve le esperienze multimediali e multisensoriali che i visitatori potranno sperimentare all’interno dei padiglioni, le tecnologie messe a disposizione degli organizzatori e degli utenti per imbastire sul tema dell’alimentazione sostenibile narrazioni, storie e attività interattive (nella maggior parte dei casi fruibili sui dispositivi mobile personali), accennando anche ad alcune delle app e dei servizi per l’infomobilità sviluppati a partire dalla piattaforma E015, il mio amico ingegnere ha letteralmente sgranato gli occhi.
Sono soluzioni e progetti che il CorCom e altre testate specializzate in economia digitale e innovazione hanno puntualmente raccontato, man mano che il mosaico dell’Expo veniva completato e prendeva forma, ma che spesso sono state trascurate dalla stampa generalista, che forse ha considerato notizie e case history provenienti dal mondo digitale materie troppo tecniche per il lettore medio. Eppure è il lettore medio quello che tutti i giorni in metropolitana comunica, si diverte o lavora con i mobile device; è il lettore medio che compra on line beni e servizi, accedendo a negozi, eventi e musei grazie alle funzioni di geolocalizzazione del proprio smartphone. Ed è sempre il lettore medio che visiterà il primo Expo all digital della storia. Un Expo che, sembrerebbe, ancora non conosce bene. Per fortuna ci sono davanti a noi sei mesi e migliaia di esperienze fuori e dentro l’area espositiva utili a colmare la lacuna. Sperando che la protesta fine a se stessa, anche grazie alla consapevolezza e alla conoscenza che derivano dall’esperienza diretta, si plachi.