Nella società sempre connessa, dove sembra possibile conservare e archiviare tutto, si perdono molti più contenuti di quanto comunemente si pensi. Le future generazioni probabilmente punteranno contro di noi il dito: un’epoca che ha saputo solo dissipare e non tramandare. Facciamo qualche esempio. Un giornale cartaceo è obbligatoriamente conservato dalle biblioteche nazionali pubbliche, in varie copie in città diverse; un giornale online è conservato solo dal suo editore, quando muore tutto finisce. Un cittadino dovrà chiedere il permesso per accedere a un archivio privato, che gli sarà concesso se e per quanto il detentore dell’archivio ritiene; consultare quel giornale online non è un suo diritto. Infine: riusciamo abbastanza agevolmente a leggere i geroglifici egiziani, di quasi tremila anni fa, ma i nostri vecchi floppy disk sono pateticamente inservibili.
Archivi de facto sono YouTube e Facebook, ma la loro accessibilità è condizionata e il continuo aggiornarsi dei dati ci fa perdere il senso del tempo. Il cloud è una bellissima cosa ma bisogna averne la chiave, altrimenti non c’entri. Insomma per un motivo o per l’altro c’è una grande perdita di dati, e anche un atteggiamento sociale diverso nei confronti della memoria. Intanto, non si ha più tanta voglia di tenere occupata la testa per ricordare cose che si trovano facilmente, date di nascita di persone celebri o parole straniere non di uso comune. Di conseguenza, chi sbaglia un verbo latino non incontra reazioni significative (una volta c’erano addirittura dibattiti parlamentari, per un futuro in latino sbagliato da un ministro). Oggi, ammesso che qualcuno se ne accorga, nessuno ci fa caso. E conseguentemente, se un politico fa l’opposto di quello che ha solennemente promesso non ci si fa caso, è normale, e poi chi se lo ricorda più?
La memoria dunque, è un oggetto sociale, non solo una dotazione personale. Ricordare costa sforzo e di molti personaggi, anche recenti, non rammentiamo se erano un astronauta, un calciatore, un cantante o un politico. Tanto c’è sempre Wikipedia. Attorno a grandi fatti (stragi, attentati, l’Olocausto) si organizzano giornate della memoria, viaggi nei luoghi dove si svolsero, testimonianze dei sopravvissuti. Lodevoli iniziative, ma ulteriori dimostrazioni della presentificazione della memoria. Viviamo in un eterno presente, il passato è relativo, opinabile, tende alla indimostrabilità sotto forma di una contesa mai risolta tra chi lo afferma e chi lo nega. In rete, del resto, si troverà sempre qualche pagina in cui si nega la Shoah, si celebra la durata del nazismo nella base segreta sotto l’Antartide, si rifà a modo proprio la storia antica e recente. Pagine in attesa di essere dimenticate.