Venerdì 7 marzo il presidente della Turchia, Abdullah Gul, ha annacquato le polemiche innescate dal primo ministro Tayyip Erdogan, dettosi intenzionato a chiudere Facebook e YouTube, nei quali sono stati postati contenuti che svelano corruzioni nella cerchia del premier. La goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso è la registrazione telefonica postata su YouTube il 7 marzo, nella quale si ode il premier rimproverare il padrone di un quotidiano ed esigere il licenziamento di due giornalisti della testata.
Analogo episodio s’era verificato in precedenza con Erdogan Demiroren, proprietario del quotidiano Milliyet, reo di aver lasciato pubblicare un servizio sui colloqui di pace coi ribelli curdi. Erdogan respinge le accuse e getta la colpa sul predicatore musulmano turco Fethullah Gulen, suo ex alleato, oggi rifugiato in Usa, che avrebbe contraffatto le registrazioni telefoniche. Il presidente Gul non sembra convinto: “La chiusura dei siti social media è fuori questione” e aggiunge “Noi siamo comunque fieri delle riforme realizzate per allargare le libertà”. Gul l’anno scorso fu attaccato dai liberali, accusandolo di scarsa attenzione verso le leggi governative mirate a limitare le libertà fondamentali.
Per ora non si registrano reazioni da Facebook o YouTube alla minaccia di Erdogan. L’utenza turca di Facebook, 34 milioni di visite mensili, su una popolazione di 77 milioni, la colloca nella fascia alta della graduatoria mondiale degli accessi. Occorre una riflessione approfondita fra quanti plaudirono a suo tempo alla richiesta della Turchia di entrare nell’Ue, piuttosto che la sordina europea e statunitense alla inquietante notizia.