La Corte d’appello di Milano aggiunge uno zero alla cifra stabilita dai giudici di primo grado. E condanna Facebook a risarcire 3,8 milioni di danni – contro i 350mila euro stabiliti un anno fa – all’italiana Business Competence, società di sviluppo software, per violazione del diritto d’autore e “appropriazione parassitaria di investimenti altrui”. Al centro l’applicazione Nearby che tramite geolocalizzazione consente agli utenti di individuare negozi, locali, ristoranti di prossimità.
Cosa dice il provvedimento
Come si legge nel provvedimento, la Corte d’Appello civile, presieduta da Domenico Bonaretti, “ritiene corrette le modalità con cui la consulenza tecnica d’ufficio del Tribunale ha calcolato in misura pari a 3.831.000 euro il pregiudizio economico complessivo subito da Business Competence, a causa dell’illecita condotta di Facebook”.
Nonostante la consulenza i giudici di primo grado della sezione specializzata imprese avevano invece quantificato il danno per un importo di 350 mila euro, quindi di gran lunga ridotto rispetto alla stessa consulenza e avevano disposto a carico di Facebook 90mila euro di spese legali a favore della societa’ italiana e il rimborso dei consulenti tecnici della stessa.
“Appropriazione parassitaria”
Secondo i giudici Facebook ha attuato un’”appropriazione parassitaria” dell’app Faround ideata della società dell’hinterland milanese, lanciando sul mercato l’applicazione Nearby. Quest’ultima – come quella firmata da Business Competence – individua dove una persona si trova, i suoi gusti e, in base a questi, anche i ristoranti o i bar vicini. Nella sentenza, scrive la Corte, non esistono prove che “Nearby Places sia stata sviluppata in modo autonomo da Facebook rispetto a Faround”.
I fatti risalgono all’ottobre 2012, quando l’azienda italiana aveva ideato e lanciato la app Faround. Due mesi più tardi, nel dicembre dello stesso anno, il colosso californiano aveva proposto agli utenti di scaricare la sua Nearby. Quest’app, però, secondo Business Competence è identica alla propria per “concept e format”, ad eccezione soltanto degli aspetti grafici. Una tesi condivisa dai giudici civili di primo grado che, alla fine del 2016, nella fase cautelare del procedimento, avevano anche respinto la richiesta di Facebook di sospendere l’esecutività della sentenza di primo grado.